Il Giappone conquista la Malesia
Nel pomeriggio del 2 dicembre 1941 gli ufficiali dello stato maggiore della 25ª armata giapponese e il tenente colonnello Kera, responsabile del trasporto via mare delle truppe, aspettavano nella sede del comando di Samah, porto dell'isola di Hainan al largo della costa dell'Indocina, l'arrivo di 20 navi che avrebbero dovuto imbarcare le truppe destinate all'invasione della Thailandia e della Malesia. Le navi provenivano non solo dai porti giapponesi. ma anche da Sciangai, Canton e Formosa, entro le ore 12 del giorno seguente, 3 dicembre, tutte erano giunte in piena efficienza ai loro ormeggi, e le operazioni di imbarco delle unità di punta della 25ª armata e della 3ª divisione aerea poterono quindi aver inizio.
In quel momento, sebbene stesse combattendo in Cina sin dal 1931 e avesse occupato l'Indocina nel luglio 1941, il Giappone non era ancora in guerra né con il Regno Unito né con gli Stati Uniti d'America. Tuttavia i negoziati in merito all'embargo commerciale imposto dagli Stati Uniti erano divenuti sempre più difficili, e i giapponesi avevano deciso che, a meno di concessioni fatte in extremis dagli americani, le ostilità avrebbero avuto inizio nelle prime ore di domenica 8 dicembre. Ai comandanti delle maggiori grandi unità, era stata concessa la facoltà di decidere quale fosse il momento più opportuno per lanciare all'attacco le loro forze; la cosa importante era che esse raggiungessero gli obiettivi loro indicati entro la data convenuta. Fu cosi che mentre Yamashita imbarcò le sue truppe il 4, le altre forze non partirono che il 5 o il 6 dicembre; gli aerei destinati all'attacco su Pearl Harbor, infine, non effettuarono il loro ultimo spostamento che la notte del 7.
Yamashita ricevette gli ordini definitivi la sera del 2 dicembre; essi erano i seguenti:
• è prestabilito che le operazioni militari abbiano inizio l'8 dicembre;
• la 25ª armata deve cooperare con la marina da guerra nella fase iniziale delle operazioni militari aventi come obiettivo l'occupazione della Malesia;
• il comandante della 25ª armata darà inizio alle operazioni conformemente agli ordini ricevuti in precedenza. Se, però i negoziati in corso tra Stati Uniti e Giappone si concludessero con esito positivo prima della data sopra indicata, le operazioni militari di attacco verranno sospese.
Per il Giappone, specialmente nel momento in cui il blocco americano si era irrigidito, la Malesia rappresentava una meta molto ambita. Non solo la sua produzione di gomma e di stagno era pari rispettivamente al 38 e al 58 % di quella mondiale, ma all'estremità meridionale di questa lunga penisola si trovava l'isola di Singapore, importante base navale della Gran Bretagna e punto chiave della sua potenza nell'Estreme Oriente.
Per quanto strano ciò possa sembrare, solo nei tre mesi precedenti l'alto comando giapponese aveva posto mano alla compilazione dei piani per la conquista di Singapore, e non fu che nel gennaio 1941 che l'esercito cominciò a studiare i problemi connessi alla guerra in regioni tropicali e alla lotta nella giungla. In quel momento esisteva a Formosa una piccola organizzazione denominata " Sezione ricerche dell'esercito di Taiwan "; essa era guidata dal colonnello Masanobu Tsuji.
Egli possedeva una straordinaria capacità di capire e assimilare; con l'aiuto di soli 10 assistenti indagò a fondo e rapidamente i problemi sottoposti al suo esame.
Come avrebbero dovuto essere modificate la tattica e la strategia dell'esercito per una guerra tropicale'?
Che tipo di vestiario, di armi e di equipaggiamento sarebbe stato necessario?
In qual modo sarebbero state risolte le questioni dell'igiene e dell'assistenza sanitaria ai malati e ai feriti?
Che tipo di rapporti si sarebbe¿o dovuti sviluppare con le popolazioni locali?
Dopo aver interrogato numerosi ufficiali, Tsuji giunse a tre conclusioni in merito agli obiettivi e precisamente :
• la piazzaforte di Singapore era solida e resistente sul fronte a mare, ma era praticamente indifesa sul fronte a terra verso la provincia di Johore;
• le notizie relative al potenziale della RAF in aerei da caccia riportate dai giornali erano, in merito all'effettiva entità esagerate;
• l'esercito inglese nella Malesia comprendeva 5 o 6 divisioni, per un totale di circa 80.000 uomini. Molto probabilmente la percentuale di truppe europee era inferiore al 50%
Cosa abbastanza sorprendente, l'esercito giapponese non disponeva di dati topografici particolareggiati concernenti la Malesia; la lacuna fu colmata soltanto a opera di un certo maggiore Terundo Kunitake, che per alcuni mesi era stato distaccato presso l'ambasciata giapponese in quel settore e inquadrato col personale diplomatico.
Dopo aver passato in rapida rassegna strade, fiumi e ponti, egli riferì che di questi ultimi ve ne erano non meno di 250 lungo la principale rotabile che correva tra Singapore e il confine della Thailandia molti di più di quanti Tsuji avesse stimato sulla base delle imprecise carte geografiche di cui disponeva.
Subito ci si rese conto che quanto più tempo fosse stato impiegato per riparare i ponti tanto più tempo avrebbero avuto a disposizione gli inglesi per fortificare le loro posizioni difensive nello Johore e a Singapore. Si decise quindi di assegnare a ciascuna delle tre divisioni della 25ª armata un intero reggimento del genio, e di porne un quarto alle dirette dipendenze di Yamashita. Vennero anche corrette le valutazioni relative al tipo e all'entità dei materiali necessari per l'attraversamento dei corsi d'acqua.
Mentre procedevano questi preparativi, la situazione politica e strategica evolveva rapidamente. In luglio le forze giapponesi entrarono nell'Indocina meridionale assicurandosi in tal modo, con Saigon, una comoda base navale e aerea avanzata per un'offensiva contro la Malesia. Il 23 settembre entrarono nell'Indocina settentrionale. e quattro giorni dopo il governo giapponese firmò con Germania e Italia il patto tripartito, promettendogli tutto l'aiuto possibile.
L'idea di un attacco contro la Russia, energicamente patrocinata da un gruppo di generali, fu respinta, e si raggiunse invece un accordo sull'opportunità di attaccare verso sud in direzione della Thailandia e della Malesia. Inoltre l'ammiraglio Yamamoto, comandante in capo delle forze combinate del mare e dell'aria, che si era battuto contro il piano che prevedeva una guerra contro America e Gran Bretagna, finì con l'avere la peggio, mentre la sua tesi che il Giappone avrebbe potuto assicurarsi una " vittoria decisiva per sei mesi " ma che nel giro di due anni la supremazia americana sarebbe stata schiacciante, veniva denigrata come disfattista.
Tuttavia esistevano ancora sensibili divergenze in merito alle modalità tattiche da impiegare. Lo stato maggiore della marina, voleva che gli sbarchi fossero preceduti da un prolungato bombardamento delle difese costiere e da pesanti attacchi contro le basi aeree.
Esso sosteneva che se non si fosse impiegato questo procedimento le loro unità da guerra sarebbero state esposte agli attacchi aerei nemici. L'esercito, d'altra parte, auspicava il ricorso al fattore sorpresa. Tutti i suoi comandanti di grado più elevato erano convinti che gli inglesi non avrebbero mosso nulla prima della dichiarazione di guerra, il che significava che non avrebbero potuto lanciare alcuna operazione aerea su vasta scala prima dell'alba dell'8 dicembre. Ma in quel momento la 3~' divisione aerea giapponese sarebbe già stata in piena azione; grazie alla sua enorme superiorità sia per la quantità sia per la qualità degli aerei, l'assicurarsi il controllo del cielo sarebbe stato questione di ore.
Nishimura, l'ufficiale incaricato delle previsioni meteorologiche a Formosa, disse di ritenere che il 6 e il 7 dicembre si sarebbero manifestati soltanto venti di forza moderata, ma che durante la giornata dell'8 il monsone di nordest sarebbe aumentato, e che da quel momento in poi lungo le coste il mare sarebbe stato sempre più increspato. L'8 dicembre era dunque l'ultimo giorno possibile per lo sbarco. Se ci si fosse lasciato sfuggire quel momento favorevole, con ogni probabilità gli sbarchi avrebbero dovuto essere rinviati fino all'aprile seguente.
La 25ª armata era però ancora priva di un comandante e dovette arrivare il 5 novembre prima che alla carica venisse designato il tenente generale Yamashita. Sebbene nell'esercito godesse di una grande fama molti ufficiali lo giudicavano il miglior soldato a cui il Giappone avesse mai dato i natali egli aveva anche molti nemici, tra i quali spiccava Tojo, da poco diventato primo ministro.
Yamashita era membro del Kodaha (Gruppo dell'imperatore), un'organizzazione estremista che nel 1932 aveva tentato un colpo di stato. Sebbene non direttamente coinvolto nel tentativo, il nome di Yamashita fu cancellato dalle liste di promozione. Ma le sue doti erano talmente eccezionali che egli fini per raggiungere il grado di generale. Nel 1941, di ritorno da una missione in Germania e in Italia, egli fu immediatamente destinato al comando di Manchukuo, nella Cina settentrionale Toio insisteva infatti sulla necessità di tenerlo lontano da Tokyo e dai centri di potere. Ma anche quando venne richiamato e si vide affidare il comando della 25ª armata, in quel momento d'importanza vitale per la storia del Giappone, egli continuò a non farsi illusioni.
Si rendeva conto con chiarezza che il benché minimo errore avrebbe immediatamente comportato l'esonero e la caduta in disgrazia; anche il suo superiore diretto, il generale Terauchi, comandante dell'esercito nel settore meridionale, era un vecchio nemico da cui era logico aspettarsi il minimo appoggio e le massime ingerenze. In quel momento la posizione di Yamashita era isolata e pericolosa; solo una rapida vittoria avrebbe potuto porlo al sicuro da attacchi.
Per sua fortuna, Yamashita era in rapporti cordiali con due dei suoi tre comandanti di divisione, e precisamente con il tenente generale Matsui, comandante della 5ª divisione, e il tenente generale Renya Mutaguchi, comandante della 18ª divisione. La 5ª divisione era una grande unità dotata di molta esperienza che durante la guerra con la Cina aveva acquisito un'enorme pratica in fatto di sbarchi contrastati; era inoltre altamente meccanizzata, e veniva quasi da tutti considerata una delle migliori divisioni dell'esercito giapponese. Anche la 18ª divisione, pur non avendo lo stesso grado di esperienza ed avendo carenza di mezzi di trasporto, godeva di una salda reputazione.
La terza formazione era la divisione " Guardie imperiali ", composta da tutti gli uomini di statura superiore alla media disponibili nell'esercito. Essa non aveva però più combattuto dall'epoca della guerra russo giapponese del 1905, e dopo averla per la prima volta osservata nel corso di una esercitazione Yamashita disse francamente al suo comandante, tenente generale Nishimura, che l'unità doveva essere sottoposta ad un intenso programma di addestramento. Ma Nishimura era un altro vecchio nemico di Yamashita, essendosi scontrato con lui nel 1932 nel corso del processo contro gli ufficiali del Kodaha. Nishimura era stato addirittura il presidente di quella corte marziale. La conseguenza di questa vecchia inimicizia fu quindi che Nishimura fece ben poco per tradurre in pratica gli ordini di Yamashita; e quando la divisione delle " Guardie imperiali " si imbarcò, nello stato maggiore della 25ª armata era diffusa l'opinione che essa non fosse ancora in condizioni di combattere.
A questo proposito si deve ricordare che lo stato maggiore era formato da ufficiali richiamati in tutta fretta da unità e comandi delle più diverse parti dell'esercito giapponese; questi ufficiali non si conoscevano l'un l'altro, né conoscevano Yamashita; indipendentemente dalle doti individuali, si sarebbe dunque trattato di vedere se essi sarebbero riusciti ad affiatarsi fino a costituire un vero e proprio gruppo di lavoro. Fortunatamente la personalità di Yamashita suscitò una profonda ed immediata impressione: per tutta la durata della campagna gli ufficiali del suo stato maggiore dimostrarono una lealta ed uno spirito di cooperazione indiscutibili.
Le tre divisioni di fanteria erano appoggiate (oltre che dalla propria artiglieria organica) da due reggimenti di artiglieria pesante campale e dalla 3ª brigata carri. In totale gli effettivi della 25ª armata ammontavano a circa 60.000 uomini; la 3ª divisione aerea disponeva di 459 aerei, ai quali se ne aggiunsero altri 159 della marina. La divisione navale del settore meridionale del viceammiraglio Ozawa comprendeva un incrociatore da battaglia, 10 cacciatorpediniere e 5 sommergibili.
I compiti delle divisioni erano i seguenti: la 5ª divisione, con il comando ed il grosso della 18ª divisione, doveva sbarcare a Singora, immediatamente a nord del confine tra Thailandia e Malesia, mentre un gruppo della forza di un reggimento, noto come " distaccamento Takumi " doveva sbarcare a Kota Bharu, sulla costa malese. La divisione delle " Guardie imperiali " doveva sbarcare a Singora, o in corrispondenza di un altro porto prescelto, e seguire la 5ª divisione verso la Malesia. Non appena iniziata l'avanzata verso sud, le due divisioni (5ª e " Guardie imperiali ") avrebbero operato sulla rotabile che correva lungo la costa occidentale della Malesia, mentre la 18ª divisione sarebbe scesa lungo la costa orientale. La mattina del 4 dicembre l'armata si mise in movimento.
Gli inglesi si erano resi conto della possibilità di un'offensiva giapponese contro la Malesia fin dal 1931, ma anche se l'anno successivo le difese di Singapore erano state rafforzate, dovette giungere il 1937 perché i comandanti si rendessero conto che il destino della base era strettamente legato a quello della Malesia. Durante quell'anno il comandante della Malesia, maggiore generale W. G. S. Dobbie, cominciò a esaminare il problema della difesa considerando la possibilità di sbarchi nemici sulla costa orientale.
In ottobre egli informò il ministero della guerra che, i giapponesi avrebbero potuto effettuare sbarchi durante il monsone di nordest, in quanto la cattiva visibilità avrebbe seriamente ostacolato la ricognizione aerea inglese.
Dobbie preparò una valutazione della situazione dal punto di vista giapponese, indicando come mossa preliminare che il Giappone avrebbe tentato di impadronirsi di alcune basi aeree in Thailandia. Egli indicò come possibili punti di sbarco Singora e Pattani in Thailandia, e Kota Bharu in Malesia. Da questa valutazione appariva chiaro che la sicurezza di Singapore dipendeva da quella della Malesia settentrionale e dello Johore, e che pertanto si doveva assegnare un'alta priorità all'invio di rinforzi in questi settori. Ma, il governo inglese si limitò a rafforzare la guarnigione della Malesia con l'invio di un battaglione, e a destinare 60.000 sterline per l'allestimento di opere difensive.
Questi lavori vennero però iniziati soltanto nel 1939, quando già il Giappone aveva esteso la sua attività bellica alla Cina meridionale; e molto prima che essi venissero ultimati la Gran Bretagna si trovò in guerra con la Germania. In questa nuova e pericolosa situazione, dietro richiesta dei capi di stato maggiore di Londra i comandanti delle tre forze armate a Singapore presentarono la loro prima valutazione congiunta. L'ipotesi di fondo di questa valutazione era che, in assenza di una forza navale, il príncipale elemento di difesa sarebbe stato costituito dalla forza aerea; ma ciò che soprattutto preoccupava i comandanti era una recente decisione politica secondo cui l'entrata di truppe giapponesi in.Thailandia non sarebbe stata considerata un casus belli. Grazie a questa decisione, il Giappone sarebbe stato libero di occupare una parte della Malesia settentrionale, prima che gli inglesi potessero eseguire una qualsiasi contromossa.
Per quanto riguardava la RAF, si riteneva che il suo compito sarebbe stato quello di respingere ogni forza d'assalto mentre ancora si trovava in mare e infrangerne i tentativi di sbarco e di distruggerla qualora, nonostante tutto, tali tentativi fossero riusciti. Nel frattempo l'esercito avrebbe difeso le basi aeree e navali, eliminando quelle forze giapponesi che in qualche modo fossero riuscite a sfuggire alla RAF. Si sosteneva che quest'ultima avrebbe dovuto disporre di 200 aerei, e che questo potenziale avrebbe poi dovuto essere accresciuto fino a raggiungere i 31 gruppi, per un totale di 566 aerei. Si riteneva che una forza di questa entità avrebbe dovuto fronteggiare non soltanto eventuali attacchi dalla Thailandia, ma anche i tentativi di sbarco dal mare, di conseguenza l'esercito avrebbe potuto essere ridotto a 23 battaglioni.
Prima ancora che questa valutazione, potesse essere tradotta in pratica., o anche soltanto assimilata, il generale di squadra aerea sir Robert Brooke Popham assunse la carica di comandante in capo per l'Estremo Oriente, e il 7 dicembre inviò ai capi di stato maggiore la sua valutazione personale. A suo avviso, la politica più opportuna sarebbe stata quella di potenziare in misura tale le difese inglesi in Estremo Oriente da far si che i giapponesi si rendessero conto dell'inutilità di una aggressione. Si doveva tenere l'intera penisola della Malesia, combinando la capacità difensiva dell'esercito con il potenziale d'urto della RAF.
Brooke Popham aveva completato da pochi giorni il suo documento quando i capi di stato maggiore risposero alla valutazione precedentemente messa a punto dai capi delle tre forze armate a Singapore. Essi dissero di ritenere che la RAF avrebbe dovuto disporre di 336 aerei, invece che di 566, e preavvisarono che anche questa cifra non avrebbe potuto essere raggiunta prima deila fine dell'anno. Fu invece riconosciuta la necessità di aumentare gli effettivi dell'esercito, e si decise quindi di inviare in Malesia una seconda divisione di fanteria dall'India. Questa decisione non incontrò però il favore di Churchill, il quale in linea generale era contrario al trasferimento di formazioni dai teatri di guerra in cui erano impegnate. Tuttavia i capi di stato maggiore furono irremovibili, e prima della fine di aprile la 9ª divisione indiana, meno una brigata, giunse in Malesia a integrare le unità dell'8ª, divisione australiana.
Il 7 agosto il tenente generale A. E. Percival, che aveva appena assunto l'incarico di comandante in capo del settore della Malesia, informò il ministero della guerra di ritenere che per la difesa della Malesia fossero necessarie sei divisioni, affiancate da due reggimenti di carri armati e da truppe suppletive che comprendessero reparti controcarro e contraerei. In quello stesso momento Brooke Popham comunicò che a suo avviso la RAF avrebbe dovuto poter disporre di 4 gruppi di bombardieri e di 2 gruppi di caccia. Queste cifre si basavano sull'ipotesi che, qualora avessero attaccato, i giapponesi avrebbero impiegato tre divisioni.
Altra grossa preoccupazione di Brooke Popham e Percival era la situazione di Singora. Se si voleva strappare l'iniziativa al nemico, questo porto doveva essere occupato prima che lo raggiungessero i giapponesi; a questo scopo fu elaborato un piano denominato " Matador". Ma il 17 settembre i capi di stato maggiore replicarono che la loro politica era quella di evitare una guerra con il Giappone qualsiasi idea di entrare in Thailandia prima che essa fosse stata violata dal nemico non doveva neppure essere presa in considerazione.
Passarono cosi ottobre e novembre, e le forze inglesi in Malesia continuarono ad essere carenti di due divisioni di fanteria, di due reggimenti corazzati e di artiglieria contraerea. Esse erano suddivise in compiti di difesa dei campi di aviazione, e non avevano mezzi adatti per svolgere un adeguato addestramento.
Il primo avvistamento del convoglio giapponese fu segnalato da uno Hudson di base a Kota Bharu poco dopo mezzogiorno del 6 dicembre. Dodici ore dopo, sebbene la ricognizione aerea fosse ostacolata da violenti temporali e da basse formazioni nuvolose, altre segnalazioni confermarono che un convoglio di 22 navi accompagnato da una forte scorta di unità da guerra era in navigazione verso ovest. La rotta del convoglio indicava che esso si saiebbe spinto all'interno del golfo del Siam, allontanandosi in tal modo dal settore perlustrato dai ricognitori inglesi. Non era ancora possibíle capire se esso avrebbe poi accostato a sud e se gli sbarchi sarebbero avvenuti a Bangkok, sulla costa thailandese o su quella della Malesia o in tutti e tre questi settori. Comunque, il permesso di lanciare l'operazione " Matador " fu ancora una volta rifiutato, e i comandanti inglesi non ebbero altra alternativa che quella di attendere gli eventi.
Per tutta la notte tra il 6 e il 7 la visibilità fu pessima, e soltanto alle ore 17.30 del 7, circa 30 ore dopo i primi avvistamenti, che gli aerei inglesi individuarono una nave da trasporto in navigazione verso Singora, scortata da un incrociatore. Un'ora dopo a nord di Pattani furono avvistate 4 unità da guerra che navigavano verso sud parallelamente alla costa.
Tuttora vincolati dalla decisione politica di evitare ogni provocazione, i comandanti inglesi non potevano effettuare alcuna contromossa, e persino l'operazione "Matador" fu tenuta in sospeso in attesa che all'alba i ricognitori effettuassero una missione sopra Singora. Ma poco dopo mezzanotte tutti i dubbi in merito alle intenzioni giapponesi sulla Malesia furono dissipati: il generale di brigata Key, comandante dell'8ª brigata di fanteria indiana schierata a nordest di Kota Bharu, segnalò che tre navi da trasporto avevano gettato l'ancora a circa 2 miglia dalla costa e che alcune unità di scorta della marina da guerra giapponese stavano bombardando la sua brigata. Poco dopo egli segnalò che truppe giapponesi avevano incominciato a sbarcare. Il comando dell'aviazione ordinò che gli aerei della RAF di base a Kota Bharu attaccassero immediatamente, e che gli aerosiluranti si levassero in volo.
Le truppe giapponesi al largo di Kota Bharu appartenevano, alla " Forza Takumi ", ed erano giunte sul posto alle ore 23, sfortunatamente per Takumi, essendo state trascinate da una corrente che scendeva lungo la costa le sue navi si trovavano circa 2.000 metri a sud del punto previsto, e cioè esattamente di fronte alle postazioni di Key anziché a nord di esse. Le onde raggiungevano quasi i 2 metri di altezza. Quest'ultímo punto aveva un'importanza particolare in quanto, secondo gli studi svolti in proposito dai tecnici giapponesi per questa operazione, le onde di questa altezza erano le massime accettabili, Takumi temeva che l'operazione naufragasse se il vento fosse aumentato. In effetti si rivelò difficile calare i mezzi da sbarco e, una volta raggiunta la superficie dell'acqua, essi cominciarono a oscillare violentemente, allontanandosi dalle fiancate delle navi per poi sbattervi contro con forza. I soldati erano spaventati dall'idea di restare schiacciati tra la nave ed il mezzo da sbarco.
Dovette passare un'ora prima che le truppe della príma ondata avessero preso posto nei loro mezzi da sbarco; infine ad esse si unì il colonnello Nasu, comandante del 56º reggimento. Alle ore 01,00 egli ordinò che i suoi mezzi da sbarco dirigessero verso la costa. Dopo che le altre navi del convoglio gli ebbero segnalato che tutto era pronto, Takumi ordinò di esporre il segnale a luce blu, le altre navi segnalarono: " Ricevuto ". Poi i mezzi da sbarco si spinsero verso la costa in formazione su quattro linee.
I mezzi da sbarco avrebbero dovuto tornare alle navi per imbarcare la seconda ondata di fanteria, ma poiché il tempo passava senza che giungesse alcuna notizia Takumi cominciò a chiedersi che cosa fosse accaduto. Poco prima delle ore 2, sopraggíunsero alcuni aerei della RAF che bombardarono il convoglio, e la nave sulla quale si trovava il comando di Takumi la Awajisan Maru ricevette nel secondo boccaporto una bomba che uccise 50 uomini e diede inizio ad un incendio. Alle 2.05 i mezzi da sbarco tornarono, e a Takumi fu consegnato il seguente messaggio del colonnello Nasu: " Ore 1.30. Sbarco riuscito, ma ci sono molti ostacoli. Inviare seconda ondata ".
Takumi imparti l'ordine relativo, ma subito dopo il comandante delle unità da guerra di scorta si mise in contatto con lui . Molto preoccupato per la RAF, l'ufficiale chiese di sospendere gli sbarchi e di dare disposizioni affinché la formazione prendesse il largo. La terza ed ultima ondata doveva partire entro le 6, e Takumi disse che fino a quel momento si saiebbe dovuto correre il rischio. Questa discussione era appena terminata quando Takumí fu informato che la Awajisan Maru doveva essere abbandonata, ed egli fu costretto a trasferire il suo comando su di una lancia. Takumi non perse il suo sangue freddo e ordinò che la lancia dirigesse verso terra, qui egli ricevette un'accoglienza alquanto brusca. Le postazioni inglesi distavano circa 100 metri dall'acqua, ed erano protette da sbarramenti di filo spinato.
Altre lance, erano approdate proprio sotto le postazioni difensive, ed in acque ancora più difficili; un gran numero di uomini veniva abbattuto dal fuoco delle mitragliatrici inglesi. Il mare era cosi agitato che molti non riuscivano a mantenersi in equilibrio, e venivano quindi travolti mentre tentavano di superare quei pochi metri che li separavano dalla terraferma. Takumi, resosi conto che, se fossero rimasti dove si trovavano, i soldati sbarcati sarebbero stati sterminati fino all'ultimo, ordinò di attaccare. Gli ufficiali si lanciarono verso l'entroterra e gli uomini li seguirono. Ben presto le truppe attaccanti cominciarono ad aggirare le postazioni nemiche e scavare nella sabbia dei passaggi sotto il filo spinato.
L'8ª brigata di fanteria indiana era costituita dai battaglioni: 2/X Belusci, dal 3/XVII Dogras e dall'1/XIII fucilieri della Frontier Force, appoggiato dal 21º gruppo di artiglieria da montagna. Poiché i Belusci tenevano una posizione costiera situata circa 25 km più a sud e la Frontier Force era stata spinta in avanti per coprire l'aeroporto, circa 3 km nell'entroterra, tutto il peso dell'attacco ricadde sul 3/XVII Dogras. L'unità si batté bene, infliggendo ai giapponesi gravi perdite; ma entro le 3.45 due delle sue postazíoni centrali, sui due lati di Kulla Pa'amat, erano cadute in mano nemica. Nel corso della giornata, anche se in altri settori i Dogras resistettero, sulla costa la situazione da confusa si fece critica, in quanto un contrattacco lanciato dai fucilieri della Frontier Force da nord ovest fini con l'arenaisi in un dedalo di corsi d'acqua. Nel frattempo il campo di aviazione fu bombardato e mitragliato da alcuni aerei giapponesi, che provocarono gravi danni agli aerei e agli impianti. Alle ore 19, quando giunse notizia che al largo della costa erano state avvistate altre navi adibite al trasporto di truppe, al generale di brigata Key fu consentito di ritirare le sue truppe. Pur avendo perso il 15% dei loro effettivi (850 uomini), i giapponesi avevano raggiunto il loro obiettivo immediato.
L'8 dicembre portò agli inglesi una notizia ancora peggiore: l'intero equilibrio navale era stato sconvolto dall'attacco giapponese contro Pearl Harbor. Si venne inoltre a sapere che i giapponesi erano sbarcati in Thailandia (a Singora e a Pattani), e stavano ormai preparandosi a marciare verso sud. La 3ª divisione aerea giapponese, rapidamente stabilitasi a Singora, aveva intanto cominciato a lanciare attacchi aerei contro la Malesia settentrionale. Incontrando soltanto una debole opposizione da parte degli aerei da caccia e dell'artiglieria contraerea inglese, essa inflisse colpi irreparabili alla RAF, i cui aerei vennero sorpresi a terra e distrutti. Entro sera gli effettivi della RAF nella Malesia settentrionale erano stati ridotti da 110 a 50 aerei. Da quel momento in poi i giapponesi avrebbero goduto della più completa supremazia aerea.
La 5ª divisione giapponese aveva ricevuto l'ordine di spingersi verso sud e di distruggere le forze inglesi dislocate a Jitra, sfruttando due strade: quella da Singora ad Alor Star e quella da Pattani a Kroh. Jitra si trova nella provincia di Kedah, vicino alla costa occidentale della Malesia, all'incrocio tra la strada di Kampar e la principale rotabile; poiché proteggeva il campo di aviazione di Alor Star e numerosi altri campi minori situati più a sud, il centro aveva un'enorme importanza strategica per ambedue i contendenti. Jitra era difesa dall'11ª divisione indiana comandata dal maggiore generale D.M. Murray Lyon.
I lavori per l'allestimento delle postazioni di Jitra, iniziati prima dello scoppio della guerra, erano stati continuati dalle truppe stesse, che pure stavano ancora addestrandosi in vista di un'azione offensiva. L'8 dicembre, dopo due giorni di piogge torrenziali, molte postazioni erano allagate; e molto del materiale indispensabile era ancora indietro. In complesso, prima dell'inizio della battaglia si riuscì ad approntare sbarramenti di filo spinato e campi minati e a stendere una rete minima di collegamenti telefonici.
Il piano di Murray Lyon prevedeva di collocare la 15ª brigata, a cavallo della strada e la 6ª brigata sulla sinistra, tenendo di riserva la 28ª. Il suo errore fu quello di voler sbarrare tutte le possibili vie di avvicinamento, disperdendo in tal modo i suoi uomini lungo un fronte troppo esteso. La sola 15ª brigata doveva difendere un arco di 6 km che comprendeva tratti di giungla, risaie e piantagioni di gomma; ancora più impossibile era il compito affidato alla 6ª brigata, la quale avrebbe dovuto sorvegliare un tratto di 18 km che giungeva fino al mare. Nessuna delle due brigate poteva appoggiare l'altra, ed era limitato anche l'appoggio che le unità di una stessa brigata potevano darsi tra loro.
Inoltre Murray Lyon si trovò privato della sua riserva divisionale. Le truppe destinate alla difesa di Jitra verso nord erano quelle dell'1/X1V Punjab della 15ª brigata; la sera del 10 dicembre esse si trovavano in posizione a Changlun. Alle ore 8 del giorno seguente furono attaccate dal reparto esplorante del tenente colonnello Saeki appoggiato da 10 carri armati medi. Dopo che il nemico ebbe occupato alcune posizioni, il generale di brigata Garrett decise di ritirare il battaglione sulla posizione intermedia di Nangka, circa 3 km a nord della posizione di Jitra, assegnandogli il compito di resistere per tutta la notte. Ma mentre le truppe inglesi stavano ripiegando sotto una pioggia torrenziale, Saeki attaccò con i suoi carri armati e la sua fanteria autoportata, sorprendendo la retroguardia della colonna ed annientandola.
Dopo essersi sbarazzati dell'1/X1V Punjab, i giapponesi proseguirono la loro marcia attaccando il 2/1 Gurkha, sia frontalmente che lungo i fianchi, spezzando l'unità organica in piccoli gruppi. Come il 1/XIV Punjab, il battaglione cessò di esistere come unità combattente. Murray Lyon si trovò costretto a schierare in prima linea un altro battaglione della 28ª brigata al comando del generale di brigata Carpendale; la riserva della divisione cessò così di esistere.
Non appena scese l'oscurità, Saeki inviò una pattuglia comandata dal tenente Otto a perlustrare la posizione tenuta dal 2/1X Jats sul fianco destro inglese. Otto ritornò quasi subito con la notizia che le compagnie nemiche erano trincerate dietro sbarramenti di filo spinato, ma che tra le posizioni avanzate esistevano dei varchi; sembrava che il nemico stesse ancora organizzandosi. A suo giudizio un attacco notturno sarebbe stato possibile.
Saeki accettò questo suggerimento, e alle ore 20.30 ebbe inizio l'attacco. Ma l'intenso fuoco delle mitragliatrici e dell'artiglieria inglesi colse di sorpresa i giapponesi, costringendoli a fermarsi. Anche le compagnie di rincalzo gettate nella mischia non riuscirono a sfondare. Tuttavia Saeki attaccò con tutte le forze disponibili il centro dello schieramento, riuscendo a penetrare in profondità tra le posizioni inglesi. Ma, sebbene tra le due formazioni esistesse un varco, i Leicester e il 22º Gurkha resistevano, e Carpendale continuava a sperare nella possibilità di logorare la resistenza degli attaccanti. Intanto però era sopraggiunto il maggiore generale Kawamura, comandante della fanteria della 5ª divisione; egli ordinò al 41º reggimento di aggirare la posizione a est della strada, e all'11º reggimento di prepararsi a sferrare, sempre di notte, un attacco verso ovest, ambedue i reggimenti erano freschi.
Dall'altra parte, invece, l'11ª divisione indiana stava cominciando a dare segni di stanchezza e disorganizzazione. Murray Lyon era convinto che se il giorno seguente non fosse riuscito a portare la sua divisione dietro qualcosa che costituisse un efficace ostacolo all'avanzata dei carri armati nemici, essa sarebbe stata completamente distrutta. Egli chiese dunque al comando del III corpo d'armata il permesso di ritirarsi; in un primo momento Percival, che si trovava con il generale Heath, comandante del corpo d'armata, rifiutò tale permesso, ma in seguito ritornò sulla sua decisione e concesse a Murray Lyon la facoltà di decidere. Alle 22 egli ordinò quindi che, a partire da mezzanotte, l'11ª divisione si ritirasse da Jitra verso la riva meridionale del Sungei Kedah, ad Alor Star. Questa posizione si trovava arretrata di circa 25 km, e la pioggia scrosciante rendeva estremamente difficoltosa la marcia. Alcune unità preferirono tenersi lontane dalla strada per timore dei carri armati giapponesi e marciarono quindi attraverso la campagna, perdendo automezzi e cannoni. Dopo un'accanita azione di retroguardia, alle ore 4.30 il contatto con i giapponesi venne temporaneamente rotto.
La battaglia di Jitra costitui per l'esercito inglese un disastro di gravi proporzioni. Secondo i giapponesi, Kawamura aveva impegnato, oltre ai carri armati, soltanto 581 uomini, subendo perdite inferiori alle 50 unità. Le perdite inglesi si contavano a migliaia; la 15ª brigata venne ridotta a tre quarti dei suoi effettivi, e la 28ª brigata perse più di 700 uomini. Notevoli furono le perdite di cannoni, equipaggiamento e materiali vari e sul morale gli effetti furono disastrosi. Indubbiamente quella di Jitra si dimostrò la battaglia chiave della campagna di Malesia: la sconfitta subita condusse gli inglesi al disastro finale. Da quel momento in poi non vi fu tempo per schierare rinforzi, organizzare la difesa di Johore e di Síngapore e permettere alle truppe appena sbarcate di acclimatarsi.
E impossibile esporre in unia particolareggiata sequenza cronologica i combattimenti che successivamente punteggiarono questa ritirata. Lo stesso schema si ripeté più volte: quando i giapponesi ne minacciavano i fianchi e le retrovie, l'11ª divisione faceva saltare il ponte che stava difendendo e si ritirava; i genieri giapponesi si precipítavano allora in avanti per riparare il ponte, e carri armati e fanteria riprendevano la loro marcia. Il generale Heath sollecitava Murray Lyon a concentrare maggiormente le sue forze, in modo da evitare che si disperdessero e venissero poi annientate con maggiore facilità. Murray Lyon sosteneva la necessità di effettuare nelle ritirate sbalzi più lunghi e di impegnarsi in combattímento meno di frequente. Né l'uno né l'altro si soffermarono a considerare seriamente l'idea che il nemico potesse essere fermato.
Il 14 e fl 15 vi fu uno scontro a Gúrún, entro il 16 l'isola di Penang venne evacuata, e quello stesso giorno Murray Lyon ritirò le sue forze dietro il fiume Krian. L'esercito non poteva più contare sulla benché minima copertura aerea, ne di vedere arrivare unità fresche di carri armati. Il 17 dicembre Percival decise di attestarsi lungo la linea del fiume Perak ,ed assegnò alla divisione di Murray Lyon la 12ª brigata mentre la 15ª brigata assorbi i resti della 6ª.
Il giorno successivo, Duff Cooper, presiedette a Singapore una riunione di comandanti delle maggiori grandi unità; nel corso di questa riunione si decise di avvertire i capi di stato maggiore che la situazione era grave, e che erano necessari 4 gruppi di caccia e 4 di bombardieri per la RAF nonché 4 brigate di fanteria per l'esercito. Venne approvata la strategia di Percival, basata sull'idea di arrestare l'avanzata giapponese il più a nord possibile. Il 26 dicembre, i giapponesi, attraversarono il fiume Perak senza incontrare resistenza, e Yamashita ordinò al 4º reggimento " Guardie imperiali " di avanzare su Ipoh. A suo avviso gli inglesi, ormai con¿pletamente demoralizzati, avrebbero combattuto solo di tanto in tanto, dietro gli ostacoli rappresentati dai fiumi.
Egli era convinto, che lo slancio della sua avanzata avrebbe impedito al nemico di organizzare qualsiasi resistenza prolungata, e che fosse quindi legittimo correre dei rischi che contro un avversario con alto livello di efficienza sarebbero stati gíudicati inaccettabili. I giapponesi, erano così fiduciosi che Nishimura, comandante della divisione delle " Guardie imperiali ", giunse a stabilire che le operazioni dovessero attuarsi con l'impiego di un terzo delle truppe in un attacco frontale e degli altri due terzi impiegati nell'aggiramento dei fianchi e puntata sulle retrovie nemiche.
Più volte questa tattica si dimostrò altamente fruttuosa, grazie al fatto che le truppe inglesi erano ormai quasi esauste. Il generale Paris, che aveva sostituito Murray Lyon, era molto preoccupato delle loro condizioni. Percival ripose allora tutte le sue speranze su una robusta linea difensiva realizzata a Kampar (Sungai); ma, dopo tre giorni di combattimenti, il 2 gennaio i giapponesi la aggirarono, costríngendo le sue forze a ripiegare immediatamente dietro il fiume Slim. Qui il 7 gennaio si scatenò un ennesimo combattimento disastroso per gli inglesi: alla fine dei combattimentí la 12ª brigata aveva virtulmente cessato di esistere, mentre la 28ª brigata era ridotta ad un terzo dei suoi effettivi. Ancora una volta i giapponesi avevano lanciato i carri armati lungo la strada, sfondando prirna ancora che i cannoni controearro inglesi potessero entrare in azione, per poi irrompere nelle postazioni di fanteria su ambedue i fianchi. La disfatta sul fiume Slim, significava che le vie per la Malesia centrale erano ormai aperte e che la difesa dello Johore era ormai seriamente pregiudicata.
La battaglia era ancora in pieno svolgimento quando Percival conferì con il generale Heath e il generale Bennett, comandante dell'8ª, divisione australiana che presidiava le postazioni inglesi nello Johore orientale. Bennett ricevette l'ordine di iniziare un ordinato ripiegamento, in modo da raggiungere Serandah il 16 gennaio, Port Dickson il 21 e Tampin il 24. Percival si era convinto che se fosse stato possibile contenere il nemico sulla terraferma fin verso la metà di febbraio egli avrebbe potuto sostituire la divisione di Bennett con la 18ª divisione, che sarebbe dovuta arrivare entro quel periodo, in modo che, a sua volta, Bennett potesse disporre di una forza d'assalto. L'8 gennaio Wavell, appena arrivato in volo a Singapore, raggiunse Segamat, dove partecipò ad una riunione nel corso della quale vennero discussi sia il passaggio delle consegne tra il III corpo d'armata e gli australiani, sia la difesa dello Johore.
Ma qualunque fosse la loro natura, le decisioni prese apparvero ben presto superate, dato che l'offensiva giapponese stava acquistando uno slancio sempre maggiore. Mentre Wavell era ancora in riunione, il 5º reggimento delle " Guardie imperiali " giapponesi raggiunse Ipoh; nello stesso tempo Yamashita diede disposizioni affinché il resto della 18ª divisione di Mutaguchi venisse sbarcato a Endau, in modo da minacciare la direttrice di ritirata inglese dallo Johore settentrionale. Nel frattempo la 5º divisione continuava la sua avanzata, raggiungendo alle ore 20 dell'11 gennaio Kuala Lumpur, la più importante base del III corpo d'armata inglese. I depositi di benzina e di nafta erano stati dati alle fiamme, ma la quantità di viveri, di aimi e di equipaggiamento caduta nelle mani dei giapponesi fu comunque enorme. Quello stesso giorno Yamashita decise di concedere una pausa alla 5ª divisione, che aveva combattuto ininterrottamente per cinque settimane, e di spingere la divisione delle " Guardie imperiali " verso Malacca, sulla costa occidentale a sud di Port Dickson. Egli decise inoltre che la 18ª divisione venisse sbarcata a Singora anziché a Endau, e venisse poi autotrasportata fino a Johore.
Convinto che per Percival l'unica speranza di difendere Johore fosse quella di attestare le sue forze sulla linea del Sungei Muar, Yamashíta ordinò a Nishimura di forzare il passaggio del fiume, in modo da minacciare la linea di comunicazione inglese costituita dalla rotabile principale. Al comando in questo settore vi era il generale Bennett, che in quel momento comandava una grande unità di formazione denominata Westforce e composta dall'8ª divisione australiana, meno la sua 22ª brigata, dalla 9ª divisione indiana e da un certo numero di unità provenienti da Singapore. Bennett intendeva arrestare i giapponesi sulla linea Muar Batu Anam, e a tal fine schierò la 27ª brigata australiana a Gemas, a cavallo della rotabile principale.
Bennett riteneva che il modo migliore per fermare i giapponesi fosse quello di farli cadere in una serie di imboscate, e inizialmente con questa tattica egli riusci a riportare alcuni successi. Ma i giapponesi continuavano ad ammassare sul fronte nuove forze; e la sera dell'11 il generale Matsui assunse personalmente il comando delle operazioni. I giapponesi non realizzarono progressi sensibili, ma la divisione delle " Guardie imperiali " cominciò ad avanzare lungo la costa e ad effettuare sbarchi dal mare, cosicché ben presto Bennett si rese conto che le sue linee di comunicazione erano minacciate. Cosa ancora peggiore, un'unità indiana spinta in avanti per lanciare un contrattacco su Muar cadde essa stessa in una imboscata. Il generale Nishimura attraversò senza difficoltà il Sungei Muar, e alla Westforce non restò altro che ritirarsi.
Il 19 gennaio Wavell venne a sapere che non era stato predisposto alcun piano per una ritirata sull'isola di Singapore, né per la sua difesa; egli allora inviò a Churchill un messaggio per avvertirlo che a suo avviso una volta perduto lo Johore la base non avrebbe potuto essere difesa. Nello stesso tempo egli telegrafò a Percival di pensare a come ritirarsi dalla terraferma e a come prolungare la resistenza sull'isola. Il giorno seguente Percival rese noto il suo piano, che prevedeva la ritirata delle sue forze in tre colonne e la costituzione di una testa di ponte che coprisse il passaggio attraverso Johore Bahru.
Wavell si recò nuovamente in volo a Singapore dove scoprì che, ben poco era stato fatto per rafforzare le difese settentrionali dell'isola. Egli allora sollecitò Percival e le sue istruzioni furono rafforzate da un telegramma inviato dai capi di stato maggiore. Essi affermavano che i cannoni della piazzaforte dovevano essere adattati in modo da poter fronteggiare un attacco da terra; che si dovevano predisporre ostacoli nei punti dello stretto di Johore che più si prestavano a eventuali sbarchi; si dovevano inoltre realizzare, impiegando tutte le unità di mitraglieri disponibili, postazioni difensive autonome.
Il giorno seguente Wavell espose le sue idee a Percival il quale però non accettò; Percival preferì divideie l'isola, che misura circa 32 km pei 18, in tre settori: quello occidentale saiebbe stato difeso dagli australiani, quello settentrionale dalla 18,1 divisione e quello meridionale da formazioni indiane che costituivano la riserva. Il 24 Percival impartì le disposizioni per la ritirata sull'isola, da attuare nell'eventualità che si fosse resa necessaria. e quattro giorni dopo ordinò ai suoi comandanti di divisione di rendere esecutiva la manovra durante la notte del 30 e 31 gennaio.
A Singapore stavano intanto arrivando rinforzi: il 22 gennaio, 7.000 uomini della 44ª brigata indiana di fanteria e altre formazioni, e due giorni dopo 1.900 australiani e il grosso della 18ª divisione inglese..
Entro la mattina del 30 gennaio gli australiani della Westforce si erano ritirati alla pietra miliare 23 della rotabile principale, mentre il grosso del III corpo d'armata stava già riversandosi sulla strada rialzata. Entro le 5.30 del 31, tutte le forze inglesi si erano ritirate sull'isola, iniziarono i preparativi per far saltare la strada rialzata, lavoro piuttosto arduo dato che essa misurava circa 1.000 metri di lunghezza e oltre 60 di larghezza. Il 31 Percival assunse il eomando effettivo di tutte le truppe che si trovavano sull'isola, e calcolò di avere a propria disposizione 85.000 uomini, compresi circa 15.000 uomini addetti a servizi logistici. Queste forze erano costituite da 13 battaglioni inglesi, 6 australiani, 17 indiani e 2 malesi l'equivalente, in fanteria, di oltre 4 divisioni. Ma nessuna di queste unità era a ranghi completi, e inoltre nella maggior parte dei casi gli effettivi erano costituiti da complementi non addestrati.
La sera del 31, mentre Percival era impegnato nel tentativo di organizzare le difese di Singapore, il generale Yamashíta disse che sarebbero occorsi quattro giorni per effettuare il lavoro preliminare di ricognizione necessario per predisporre l'attraversamento dello stretto di Johore, e che gli ordini relativi sarebbero stati impartiti il più presto possibile. In quel momento il suo comando era sistemato nella giungla in prossimità di un villaggio denominato Sugatai e situato vicino allo stretto.
Si potrebbe pensare che Yamashita fosse molto compiaciuto dopo il grande successo riportato in Malesia, ma temeva che Tojo pensasse di eliminarlo non appeina Singapore fosse caduta e il suo compito terminato; inoltre i rapporti con Terauchi non erano affatto migliorati. Il 23 gennaio giunse il colpo di grazia: il capo di stato maggiore di Terauchi, tenente generale Osamu Tsukada, arrivò con un voluminoso plico di appunti relativi alla tattica che sarebbe stata più opportuno impiegare per impadronirsi dell'isola di Singapore. Inutile dire che Yamashita fece a pezzi gli appunti di Terauchi.
Poiché entro il 4 febbraio l'attività di ricognizione per l'attraversamento dello stretto di Joliore era stata ultimata, dopo aver discusso a fondo con il suo capo di stato maggiore, Suzuki, un piano d'azione Yamashita convocò per le ore 11 del 6 febbraio i suoi comandanti di divisione e imparti i suoi ordini. In breve, essi prevedevano che la sera del 7 febbraio alcune unità della divisione di Nishimura effettuassero un attacco diversivo a est, sbarcando sull'isola di Ubín; il giorno 8, non appena calate le tenebre, la 5ª e la 18ª divisione avrebbero attraversato il braccio di mare che separava la terraferma dall'estremità occidentale dell'isola di Singapore. Non appena queste forze fossero riuscite a penetrare nell'entroterra la divisione delle " Guardie imperiali " le avrebbe seguite.
La 22ª, brigata australiana, che sorvegliava il settore occidentale, la notte precedente aveva inviato in ricognizione alcune pattuglie, e queste avevano poi riferito di aver notato una certa attività vicino all'estuario dei fiume, non vi era dubbio che il nemico ne stava ammassando in quel settore un certo numero. Poiché non erano disponibili ricognitori per verificare la fondatezza delle segnalazioni fatte dalle pattuglie, l'artiglieria cominciò a bombardare a tappeto la zona segnalata.
Il fuoco dell'artiglieria giapponese, per altro, aumentava continuamente, e lo stesso valeva per gli attacchi aerei sui settori avanzati. Il sistema telefonico inglese fu sconvolto e quando, alle 22.30, vennero avvistati i mezzi da sbarco giapponesi, dovette passare qualche tempo prima che l'artiglieria entrasse in azione. In ogni caso il fuoco di sbarramento era del tutto inadeguato, ed alcune unità di fanteria avanzate furono lascíate senza la benché minima protezione. I mitraglieri, comunque, fecero pagare un alto prezzo alla prima ondata di mezzi da sbarco. In alcune zone i giapponesi dovettero fare tre tentativi prima di riuscire a sbarcare, ma con il progressivo aumentare delle truppe sbarcate essi cominciarono a prevalere con maggiore frequenza. Dopo mezzanotte gli austraiiani videro le loro postazioni attaccate tanto di fronte quanto alle spalle, ed entro le ore tre l'intera 22ª brigata ricevette l'ordine di arretrare su di una linea difensiva predisposta in precedenza.
All'alba del 9 tutte le unità di fanteria della 5ª e della 18ª divisione giapponese e parte della loro artiglieria, erano sbarcate sull'isola di Singapore, dove ormai il cielo era oscurato dalle pesanti nubi di fumo che si levavano dai depositi di carbulante in fiamme. Le radio giapponesi trasmettevano con frequenza messaggi con i quali si chiedeva all'artiglieria di allungare il tiro: l'avanzata proseguiva a ritmo sostenuto.
Al tramonto, Yamashita attraversò lo stretto con gli ufficiali del suo stato maggiore e stabilì il suo comando in una piantagione di gomma a nord del campo di aviazione di Tengah. I giapponesi continuarono ad avanzare verso sudest, ricacciando indietro gli inglesi verso la città di Singapore, e raggiunsero ben presto il campo di aviazione di Tengah, dove restarono sorpresi trovando sulle piste aerei abbandonati in buone condizioni di volo. I giapponesi si aspettavano che gli inglesi concentrassero ora la loro resistenza sulla collina di Bukit Timah, circa 3 km a nordovest della città, e sulla base di questa ipotesi si decise che la 5ª e la 18ª divisione avrebbero attaccato durante la notte del 10. Poiché il fuoco dell'artiglieria inglese aveva raggiunto un'intensità mai vista, i giapponesi prevedevano una battaglia lunga e disperata. In realtà, le forze inglesi erano così disorganizzate che non solo i loro piani di contrattacco fallirono, ma ad un certo momento un battaglione degli Argyll and Sutherland Highlanders finì con il ritrovarsi quasi isolato tra le avanguardie giapponesi ed i vitali depositi di Bukit Timah e in mezzo a quella confusione, la posizione fu perduta.
Il 10 febbraio Wavell si recò per l'ultima volta sull'isola, e quella sera stessa, ritornato in volo a Giava, segnalò a Churchill: " La battaglia per Singapore non sta procedendo bene... Il morale di parte dei soldati non è buono, e comunque non è in nessun caso come io vorrei vederlo... Ho categoricamente ordinato che non si deve neppure pensare ad una resa e che tutti i soldati devono continuare a combattere a oltranza ".
Gli ordini di Wavell non impedirono però che, in effetti, a Singapore si pensasse alla possibilità di una resa. Il 13 febbraio gli inglesi erano rinchiusi in un perimetro che, svolgendosi intorno alla città, non raggiungeva i 50 km, mentre ogni speranza di contrattaccare o anche soltanto di contenere i giapponesi era svanita. Percival, comunque, rifiutò ostentatamente di considerare disperata la situazione, e nel corso di una riunione svoltasi nel pomeriggio del 13 ordinò che la resistenza continuasse. Ma in un messaggio inviato a Wavell, egli espresse i suoi dubbi in merito al fatto che fosse possibile resistere per più di altri due giorni, e che comunque un prolungamento di quel bagno di sangue non sarebbe servito a nulla.
Anche Yamashita aveva le sue preoccupazioni. 1 suoi comandanti di divisione gli stavano segnalando che le riserve di munizioni e di vettovaglie erano prossime all'esaurimento. Cosa ancora più grave, il suo sovraccarico sistema di rifornimento si era sfasciato, e se i combattimenti si fossero protratti per altri tre giorni le sue unità sarebbero venute a trovarsi in una situazione insostenibile. La sua sola speranza era dunque quella di continuare ad esercitare la massima pressione possibile, come se le sue riserve di munizioni fossero illimitate, e con questo bluff indurre gli inglesi ad arrendersi.
Il piano funzionò. Alle ore 11 del 15 una sentinella della 18ª divisione giapponese di guardia sulla strada del Bukit Timah gridò che tra gli alberi, proprio di fronte a lui, si era alzata una bandiera bianca. Più tardi, dalla città usci un'automobile con una bandiera di tregua, ed il tenente colonnello Sugita, ufficiale di stato maggiore della 25ª armata, si recò incontro ad essa. Nel corso di un breve colloquio, gli inglesi dichiararono di essere venuti a discutere i termini della resa e furono quindi scortati attraverso le linee giapponesi. La notizia raggiunse Yamashita alle ore 14; ed ordinò che il comandante inglese venisse di persona. La delegazione inglese tornò in città ed alle 17.15 arrivò Percival, accompagnato da due ufficiali del suo stato maggiore e da un interprete, il maggiore Wild.
I due comandanti si trovarono in un locale dello stabilimento Ford di Bukit Timah, e dopo che l'interprete giapponese Hishikari ebbe fatto le necessarie presentazioni, essi si strinsero la mano e si sedettero ai due lati opposti di un tavolo. I termini della resa vennero firmati alle ore 18.10, e ciò pose fine ad una delle più disastrose campagne della storia militare inglese. Essa era durata 73 giorni, le perdite inglesi, australiane e indiane in Malesia e a Singapore ammontarono a circa 9.000 morti o feriti, e a 130.000 prigionieri; le perdite giapponesi a 9.824 dei quali circa 3.000 uccisi.