Il 22 marzo 1941, dopo aver effettuato nell’Atlantico settentrionale una sortita combinata nella quale avevano affondato 22 navi mercantili alleate per un totale di 115.600 tonnellate, gli incrociatori da battaglia tedeschi Scharnhorst e Gneisenau si rifugiarono senza farsi notare nel porto di Brest in Francia, per fare eseguire delle riparazioni.
Ciascuno di essi aveva un dislocamento di 32.000 t, era armato con nove cannoni da 280 mm e sviluppava una velocità
massima di 31,5 nodi. Erano allora le due navi più importanti della guerra. Non vi era nave britannica che essi non
fossero in grado di superare in velocità o in potenza di fuoco.
Presto sarebbero state eclissate dalla Bismarck,
e Hitler era convinto che,quando quest’ultima fosse stata pronta ad unirsi alle altre due in Atlantico,
l’Inghilterra sarebbe ben presto stata costretta ad arrendersi per fame.
Rifugiandosi a Brest, gli incrociatori da battaglia tedeschi avevano scelto un asilo non troppo sicuro.
Prima o poi avrebbero dovuto uscirne, e allora si sarebbero trovati la strada sbarrata:
dalla Home Fleet se avessero tentato di far ritorno in Germania attraverso il canale di Danimarca;
dalla Forza H, la formazione della marina britannica di base a Gibilterra, se avessero tentato di farsi strada verso sud.
Inoltre Brest era nel raggio d’azione dei bombardieri dell’aviazione britannica. Una quindicina di giorni prima,
a seguito delle spaventose perdite inferte al naviglio inglese durante i nove mesi precedenti, e della dichiarata
intenzione di Hitler di sconfiggere la Gran Bretagna imponendole il blocco navale, Churchill aveva ordinato alla RAF
di concentrare i suoi sforzi sugli obiettivi collegati alla battaglia dell’Atlantico.
Quando fu confermata la presenza delle navi nel porto di Brest, esse divennero così l’obiettivo principale del comando
bombardieri della RAF.
Entrambe le navi furono danneggiate da attacchi aerei nelle settimane seguenti non in modo irreparabile,
ma abbastanza gravemente da trattenerle a Brest.
Lo Gneisenau fu colpito da un aerosilurante in un'incursione suicida sul porto (il pilota, il tenente d’aviazione Kenneth Campbell,
del 22° gruppo, il miglior reparto di aerosiluranti, fu decorato della Victoria Cross alla memoria) e lo Scharnhorst fu colpito
da cinque bombe lanciate da alta quota quando uscì per compiere prove di macchina a La Pallice.
Nel frattempo, il 1° giugno, ai due incrociatori da battaglia si era unito l'incrociatore pesante Prinz Eugen, che si era trovato insieme alla Bismarck all’affondamento dello Hood, ma era sfuggito alla sorte che era successivamente toccata alla nave da battaglia.
Tempo prima, nell’aprile del 1941, informazioni clandestine pervenute dalla resistenza francese avevano fatto sapere agli
inglesi che gli incrociatori da battaglia si accingevano a uscire dal porto.
l’Ammiragliato era convinto che, non essendo le navi in grado di essere impegnate in operazioni nell'Atlantico,
la loro rotta più probabile sarebbe stata la Manica. Per quanto rischioso potesse apparire il passaggio attraverso la Manica,
esso avrebbe evitato l'incontro con le maggiori unità navali britanniche, poiché l’occupazione tedesca dell’intero litorale
del continente rendeva tali navi particolarmente vulnerabili agli attacchi aerei in questa zona.
Come reazione alla minaccia di
forzatura della Manica,l’Ammiragliato britannico e il ministro dell'aviazione studiarono un piano di operazioni combinate avente
lo scopo di impedire agli incrociatori da battaglia di sfuggire indenni.
Il piano, noto come operazione « Fuller » prevedeva
continue ricognizioni aeree diurne e notturne al largo di Brest e lungo la Manica per controllare i movimenti delle unità tedesche,
e attacchi coordinati da parte di forze aeree e navali leggere nel caso che il passaggio venisse tentato.
Le forze navali britanniche, al comando dell'ammiraglio Ramsay, con sede a Dover,consistevano inizialmente in non più di sei motosiluranti di base a Dover, alle quali si aggiunsero più tardi sei torpediniere di Ramsgate e sei cacciatorpediniere di Harwich. Tuttavia la RAF, se avvertita tempestivamente dalla ricognizione aerea, sarebbe stata in grado, almeno teoricamente, di concentrare l’intera forza dei suoi tre più importanti comandi, quello dei bombardieri, quello costiero e il comando caccia, il che voleva dire circa 250 aerei delle cinque divisioni da bombardamento, tutti gli aerosiluranti e i bombardieri disponibili del comando costiero e diverse centinaia di caccia per missioni d’appoggio.
L’Ammiragliato britannico riteneva che le navi tedesche, se e quando avessero compiuto il tentativo, avrebbero scelto per
attraversare lo stretto di Dover una notte senza luna per evitare un attacco concentrato nel tratto in cui il canale si restringe,
e avrebbero approfittato dell’alta marea per ridurre il rischio delle mine. Perciò erano state predisposte misure perché
gli aerosiluranti britannici — gli Swordfish dell’aviazione navale e i Beaufort del comando costiero — potessero trovare i
loro obiettivi illuminati da razzi, e perché anche unità di superficie britanniche andassero all'attacco nello stretto.
I bombardieri della RAF non avrebbero agito nell'oscurità, ma avrebbero sferrato i loro attacchi nel punto più vicino allo
stretto che le navi dovevano attraversare di giorno; nel caso che i tedeschi avessero tentato il passaggio diurno, gli attacchi
avrebbero dovuto essere condotti con la maggior energia possibile mentre le navi si trovavano nello stretto. Ma un tentativo di
passaggio in pieno giorno era considerato improbabile.
Il timore che le navi tedesche stessero per tentare una sortita si rivelò un falso allarme. Fu soltanto il 15 giugno che la proposta di tentare il passaggio fu avanzata proprio da Brest, dove gli equipaggi tedeschi erano sottoposti a bombardamenti quasi quotidiani, ma essa non fu approvata dall'ammiraglio Raeder, comandante in capo della marina tedesca. La sua obiezione principale fu che era impossibile aprire attraverso i campi minati britannici un varco abbastanza ampio da permettere una efficace manovra per sfuggire ad eventuali azioni di siluramento.
Una settimana più tardi, il 22 giugno, Hitler attaccò la Russia; ma dopo averlo fatto incominciò ad avere dei timori per quel che riguardava il suo fianco settentrionale. Timori che crebbero, finché, sul finire del 1941, egli chiese che la nuova nave da battaglia Tirpitz fosse dislocata a Trondheim e che i due incrociatori da battaglia rientrassero per operare in Norvegia. Poiché le rotte verso nord erano bloccate dal grosso della flotta britannica, essi dovevano passare attraverso il canale della Manica.
Il 12 giugno 1942, Hitler comunicò la sua decisione: se rimanevano a Brest le navi avrebbero subito ulteriori danni,
e poiché sembrava ora impossibile che esse riuscissero mai ad uscire nell'Atlantico, dovevano ritornare in Germania.
L’unica alternativa concessa da Hitler era che le navi fossero disarmate; posto davanti a una simile scelta, il viceammiraglio
Ciliax, comandante degli inerociatori da battaglia, presentò un piano di massima dell’operazione. Le navi avrebbero lasciato Brest
di notte, per essere scoperte il più tardi possibile e sarebbero passate attraverso lo stretto di Dover di giorno, perché così
sarebbero state nelle condizioni migliori per difendersi dagli attacchi delle siluranti e dei cacciatorpediniere e sarebbe stato
possibile avvalersi pienamente del forte appoggio aereo che si sarebbe allora potuto ottenere. Hitler dubitava che gli inglesi
sarebbero stati in grado di reagire abbastanza in fretta per concentrare le loro forze. Il piano era stato ispirato inizialmente
proprio da lui, quindi lo approvò.
Per tutto gennaio gli inglesi non diminuirono la sorveglianza su Brest. I rapporti dei servizi d'informazione indicavano che
le riparazioni delle navi erano quasi terminate e il 25 gennaio tutte e tre furono fotografate, fuori dai posti d’attracco,
nel porto. Voli di ricognizione rivelarono un crescente numero di unità d’appoggio a Brest e una concentrazione di EBoot in
vari porti sulla Manica. L'attività tedesca nella Manica era in aumento e un cacciatorpediniere diretto a Brest fu affondato
da una mina britannica — una delle mille e più disseminate nei punti più adatti lungo la probabile rotta delle navi — e si ebbe
notizia di un’inconsueta attività negli aeroporti della Francia occupata. I britannici erano certi che le navi stavano per tentare
l’uscita.
Il 2 febbraio l’Ammiragliato britannico diramò una valutazione della situazione nella quale si facevano ipotesi sull’urgenza
per i tedeschi di trasferire le navi in un porto più sicuro:
"La via più breve per le unità tedesche passa per la Manica.. .
È perciò molto probabile che troveremo i due incrociatori da battaglia e l'incrociatore pesante, con cannoni da 203 mm,
con cinque cacciatorpediniere grandi e cinque piccoli, in navigazione lungo la Manica con una ventina di aerei da caccia che li
sorvoleranno continuamente e con altri di rinforzo pronti su allarme."
Dopo aver espresso l'opinione che non ci si poteva attendere che i bombardieri e gli aerosiluranti della RAF potessero danneggiare
le navi in modo grave, il documento concludeva:
"Se e quando lasceranno Brest, il passaggio attraverso la Manica sembra essere la rotta più proba."
Questa valutazione era
influenzata dalla convinzione che le navi avrebbero tentato di passare attraverso lo stretto nell’oscurità, ma sotto tutti
gli altri aspetti prevedeva le linee generali del piano tedesco con grande precisione, mentre d’altro canto ammetteva che l
e forze britanniche disponibili non avevano nè l'armamento, nè l’equipaggiamento, nè l'addestramento necessari a contrastare
il piano tedesco.
La direttiva esecutiva per l'operazione « Fuller » fu emanata il giorno dopo, e l'Ammiragliato ordinò che le forze d’attacco, così com'erano, si tenessero pronte. In appoggio ai cacciatorpediniere e alle motosiluranti, sei Swordfish dell'aviazione navale furono trasferiti a Manston, nel Kent il 4 febbraio, e lo stesso giorno tutti gli aerei del comando bombardieri, salvo alcuni Whitley che erano considerati inadatti, fecero il carico di bombe e ricevettero l’ordine di tenersi pronti a decollare con un preavviso di due ore. Il comando costiero aveva tre gruppi di Beaufort (il quarto, che era il 22° gruppo ed era quello meglio addestrato, stava per imbarcarsi per l’Estremo Oriente) che però erano dislocati un po’ dappertutto: il 42° gruppo si trovava a Leuchars in Scozia, pronto per un possibile attacco contro la Tirpitz; il 217° gruppo aveva metà dei suoi aerei sull’isola di Thorney, vicino a Portsmouth, impegnati in operazioni notturne speciali sulla Manica e l’altra metà — per lo più con equipaggi inesperti — a St Eval, in Cornovaglia. Qui c'era anche l'86° gruppo, di nuova formazione, e anch'esso costituito da equipaggi privi di esperienza. Tutti insieme questi tre gruppi avrebbero potuto riunire circa 35 aerei, in gran parte affidati ad equipaggi inesperti.
L’8 febbraio, in seguito a un’ultima segnalazione da parte della resistenza francese che le navi erano pronte a salpare, fu eseguito un volo di ricognizione che rivelò che lo Scharnhorst e il Prinz Eugen erano nel porto e che lo Gneisenau era ormeggiato appena fuori del porto. Quattro grandi cacciatorpediniere e diverse piccole unità erano altresì visibili nelle fotografie. Era probabile che entro 48 ore le condizioni nella Manica — situazione atmosferica, notte oscura, marea — divenissero favorevoli per una fuga, cosicché sia l’Ammiragliato sia il ministero dell’aviazione conclusero che un tentativo sarebbe stato fatto fra il 10 e il 15 febbraio. Nel frattempo il compito immediato più importante rimaneva la vigilanza degli accessi a Brest da parte degli aerei del comando costiero.
Il normale pattugliamento che veniva eseguito dal maggio 1941, venne mantenuto dal crepuscolo all'alba all’ingresso del porto di Brest. Altri due pattugliamenti abituali, uno dalla penisola di Brest alla punta orientale della Bretagna e l’altro da Le Havre all’estuario della Somme vennero pure mantenuti nelle ore d’oscurità; tutti gli aerei impegnati in queste azioni erano muniti di radar atti all’individuazione di unità di superficie. Inoltre, per maggior sicurezza, il sommergibile Sealion era stato inviato a sorvegliare le vie d’uscita da Brest.
L'ordine impartito agli aerei del comando bombardieri di trovarsi pronti con preavviso di due ore, significava che addestramento e operazioni, eccetto le incursioni su Brest, erano completamente fermi. Non si potevano imporre al comando simili condizioni per un tempo indefinito, e il 10 febbraio 100 aerei passarono all’ordine di preavviso di quattro ore, e i rimanenti furono lasciati alle normali attività; tuttavia sarebbero stati a disposizione per le operazioni su preavviso di qualche ora. Come tutte le altre forze, precettate per l’operazione, anche i bombardieri supponevano che sarebbero stati avvertiti con un ragionevole anticipo.Lo stesso giorno il generale Joubert, comandante dell’aviazione costiera, ordinò che i Beaufort di stanza a Leuchars si trasferissero in volo al sud, a North Coates, vicino a Grimsby, poiché la minaccia da parte delle navi di Brest sembrava più immediata di quella della Tirpitz. Ma North Coates era impraticabile per la neve, e il trasferimento fu rimandato.
Il piano di fuga tedescoI tedeschi ritenevano che se avessero abbandonato Brest di notte sarebbero passati inosservati; non avevano però tenuto conto dell’impiego del radar di cui erano muniti gli aerei inglesi. Questi, sicuri di poter accertare la partenza delle navi nell’oscurità con la stessa facilità che di giorno, presumevano che i tedeschi avrebbero scelto il periodo di oscurità per passare attraverso lo stretto. Cosicché sia i piani degli uni sia quelli degli altri erano viziati da un errore di base.
Le tre navi avevano effettuato esercitazioni su percorsi locali. Le interferenze per disturbare le stazioni radar costiere
britanniche erano state iniziate al principio del mese ed erano poi state continuate in scala sempre crescente, così che le
massicce interferenze che si progettava di far coincidere con la fuga non avessero a destare sospetti.
Il colonnello Adolf Galland, responsabile dell'appoggio aereo tedesco all’operazione, aveva a sua disposizione un totale
di circa 280 caccia, in maggioranza Me109 e FW100, con una trentina di Me110; la maggior parte di questi aerei erano di base
su aeroporti intorno a Le Touquet, benché vi fossero raggruppamenti minori vicino a Caen e ad Amsterdam. Lungo l’intera rotta
vi sarebbe stata una protezione costituita da un minimo di 16 a un massimo di 32 caccia; ma questo numero poteva essere
considerevolmente accresciuto sullo stretto.
La rotta stabilita era stata dragata per elminare le mine, e il convoglio sarebbe stato preceduto da dragamine, mentre boe e
navi picchetto sarebbero state dislocate nelle strette acque fra l'Inghilterra e l'Olanda per delimitare il percorso.
La data della fuga fu fissata per la notte tra l’11 e il 12 febbraio, ma soltanto i comandanti e un piccolo numero di ufficiali
di stato maggiore erano al corrente del vero progetto.
Alle ore 14.00 dell’11 febbraio il servizio meteorologico tedesco segnalò che un'ondata d’aria calda avanzava verso le isole
britanniche — il che significava nubi basse e scarsa visibilità sulla Manica.
Le pattuglie da ricognizione britanniche riuscirono quel pomeriggio, per la prima volta in 48 ore,
a riprendere fotografie: vi sì vedevano le tre navi nella rada principale, con sei cacciatorpediniere e un raggruppamento di unità
di scorta. Sedici Wellington furono inviati a bombardarle. La scorta di cacciatorpediniere si era già schierata all’ingresso del
porto e la formazione stava per partire, cosicché l'incursione provocò un ritardo nella partenza; ma gli equipaggi dei Wellington
non videro nulla di tutto questo e non centrarono alcun colpo. Finalmente le navi si disposero in formazione nella rada appena fuori Brest alle 22.45, con più di un’ora di ritardo sull’orario preventivato.
Un agente della Resistenza le vide partire, ma non riuscì a superare il cordone di sicurezza tedesco per raggiungere la sua
trasmittente.
Il momento scelto per l’incursione dei bombardieri fu la prima circostanza sfortunata nella catena di disavventure inglesi.
Il sommergibile Sealion era rimasto di vedetta all’uscita del porto fino alle 21.35, ma basandosi sulla certezza che fosse ormai
troppo tardi perché le navi potessero raggiungere lo stretto di Dover nell’oscurità, la vigilanza era stata sospesa per la notte.
Se non fosse stato per il ritardo causato dai Wellington, la vedetta a bordo del Sealion avrebbe avvistato le navi all’atto della
loro uscita nella rada.
Anche il primo aereo Hudson della pattuglia Stopper — che fungeva da tappo nella strettoia che costituiva l’ingresso al porto di Brest — avrebbe potuto individuare le navi se la loro partenza non fosse stata ritardata. Poi un secondo Hudson era decollato per mantenere la continuità del pattugliamento e volando a una quota di 600 metri in condizioni di assoluta oscurità, esplorò la zona con il radar. Negli ultimi dieci minuti di pattugliamento, passò a meno di 16 chilometri dalla formazione tedesca, cioè a portata di radar, ma nulla apparve sul suo schermo perché i primi apparecchi radar avevano di frequente un funzionamento difettoso, la prima linea di sorveglianza era stata elusa.
Dopo aver doppiato la penisola di Brest, le navi avrebbero attraversato la linea sorvegliata dalla seconda pattuglia.
L’aereo incaricato di questo secondo pattugliamento subì però un guasto all’apparecchiatura radar e ritornò alla base.
Non fu sostituito, in parte a causa della scarsità di apparecchi, in parte perché, dato che la pattuglia Stopper non aveva
segnalato nulla, se ne concluse che, se le navi avevano salpato, dovevano ormai trovarsi un bel po’ a sud della seconda linea di
pattugliamento, nel qual caso sarebbero state intercettate dalla terza ed ultima zona di sorveglianza di fronte alla costa del
Sussex.
Ma l’aereo in missione in questa zona venne richiamato alla base a causa di una minaccia di nebbia. Se avesse continuato il
pattugliamento come di consueto fino alle prime luci del giorno, avrebbe probabilmente potuto scoprire le navi tedesche.
L'ammiraglio Ramsay sostò a lungo in attesa, quella notte, convinto che gli avrebbero comunicato che le navi tedesche erano uscite. Nessuno gli aveva riferito delle soluzioni di continuità fra le pattuglie britanniche.
Nel frattempo la formazione tedesca procedeva a tutta velocità. All’alba era a Barfleur, a sud dell’isola di Wight; i primi caccia tedeschi cominciavano a sorvolarla in formazione: l'ammiraglio Ciliax, che si trovava a bordo dello Scharnhorst, era riuscito meglio di quanto avesse osato sperare nel piano di fuga da Brest senza farsi notare. Lui non lo sapeva, ma le pattuglie britanniche diurne non si erano spinte più a sud della foce della Somme, cosicché se il personale addetto al disturbo dei radar britannici avesse fatto bene il suo lavoro, era probabile che la formazione continuasse a passare inosservata per la maggior parte della mattinata.
Già alle 8.30 del 12 febbraio, venivano comunicate per telefono alla sala operazioni del comando caccia a Stanmore notizie di rilevamenti radar da parte degli aerei che inerociavano al disopra della Manica e rapporti di interferenze dovute alle condizioni atmosferiche, mentre le normali pattuglie di caccia riferivano di « attività da parte di naviglio di superficie ». Dalla successione dei rilevamenti fu osservato che gli aerei di pattuglia si spostavano apparentemente alla velocità di 20 nodi lungo la Manica, ma si pensò che le interferenze atmosferiche provocassero errori nei rilevamenti. Quanto all’« attività del naviglio di superficie », si pensò che si trattasse di qualche operazione di soccorso aeronavale, e fu soltanto alle 10.20 che fu ordinata una ricognizione speciale.
Ma, come il comando costiero non aveva riferito le notizie sulla soluzione di continuità nella sorveglianza durante la notte, anche il comando caccia omise di trasmettere le informazioni sui rilevamenti radar e sulle interferenze di disturbo antiradar e — in mancanza di queste informazioni — l’ammiraglio Ramsay, l’Ammiragliato e il comando costiero furono d’accordo nel concludere che era assai improbabile che le navi uscissero dal porto per quel giorno.Le forze destinate alla operazione « Fuller » ricevettero il è cessato allarme.
Così per quasi 13 ore la formazione tedesca continuò a procedere lungo la Manica, inosservata e indisturbata. La base dei Beaufort di St Eval veniva rapidamente lasciata indietro, mentre i Beaufort di Leuchars, che avevano cominciato il loro volo verso sud, diretti a Coltishall, nel Norfolk, dato che North Coates era ancora bloccato dalla neve, non sarebbero arrivati prima delle 11.30. Tre dei sette Beaufort di Thorney Island erano armati non di siluri ma di bombe, mentre le condizioni del tempo sulla Manica si mantenevano così cattive che era quasi impossibile effettuare il tiro con le bombe perforanti del comando bombardieri, che per ottenere il loro effetto dovevano essere sganciate da una quota minima di oltre 2.000 metri. Perfino le unità di superficie erano sparse qua e là e non erano pronte; le motosiluranti di Ramsgate avevano sofferto gravi danni in uno scontro col nemico la notte precedente, mentre i cacciatorpediniere stavano compiendo esercitazioni nel Mare del Nord.
Quando atterrarono, i piloti della ricognizione speciale che era stata predisposta riferirono di aver avvistato un gran numero di corvette, cacciatorpediniere e EBoot al largo di Le Toquet, diretti a nord, e una nave più grande, con un albero terminante a treppiede e un’alta sovrastruttura. Mentre si indagava su queste notizie atterrarono altri due piloti di ritorno da un pattugliamento normale, durante il quale avevano sorvolato l’intera formazione tedesca. Tuttavia essi non si erano messi in contatto radio con la base, ma avevano tenuto per sé le notizie fino al loro rientro, cioè fino alle 11.09. La divisione tedesca aveva percorso più di 300 miglia senza essere stata notata e, dopo aver oltrepassato Beachy Head, stava entrando a una velocità di 30 nodi nello stretto di di Dover.
Le forze che si trovavano più vicine alle navi tedesche, e quindi le uniche in grado di colpire rapidamente, erano le motosiluranti e gli Swordfish. Già alle 10.50 il capitano di corvetta Eugene Esmonde, comandante degli Swordfish, era stato avvertito, in considerazione dell’attività registrata nella Manica, che vi era la possibilità che si presentasse l'occasione di attaccare. I sei Swordfish di Eugene Esmonde erano così i soli aerei pronti quando l’avvistamento fu confermato.
Alle ore 11.20 la divisione tedesca ridusse la velocità di dieci nodi per attraversare un campo di mine posato di recente da cacciatorpediniere britannici. Uno stretto canale era stato liberato dalle mine, ma questa zona, in cui la velocità e le possibilità di manovra delle navi erano estremamente ridotte, sarebbe stata l'ideale per un attacco coordinato da parte di unità aeree e di superficie. La notizia dell’avvistamento, tuttavia, non aveva ancora raggiunto le forze d’attacco.
Venti minuti più tardi le unità avevano attraversato il campo minato e procedevano nuovamente a tutta velocità. Il percorso era
delimitato da imbarcazioni di segnalazione, la cui dislocazione non era stata prevista dagli inglesi — cosicché la loro distruzione,
che avrebbe potuto ostacolare seriamente la divisione tedesca, non fu tentata e neppure presa in considerazione.
Alle ore 12.18 le batterie costiere di Dover, benché non fossero tuttora in grado di avvistare le navi, aprirono il fuoco;
furono le prime unità britanniche a tentare di impegnare il nemico in combattimento. Il loro fuoco di sbarramento non aveva
gittata sufficiente per raggiungere le navi tedesche, ma questa volta le motosiluranti di Dover stavano avvicinandosi allo
sbarramento esterno costituito da EBoot, mentre le grigie sagome degli incrociatori da battaglia si scorgevano chiaramente
attraverso la cortina fumogena emessa dai cacciatorpediniere.
Prima di impegnarsi nell’attacco, il capitano di corvetta Pumphrey,
comandante delle motosiluranti, lanciò un messaggio di avvistamento che comprendeva dati stimati sulla posizione, rotta e velocità
del nemico; dati che furono trasmessi alle motosiluranti di Ramsgate e al comandante Esmonde.
La scorta doveva consistere in cinque gruppi di Spitfire, tre per la scorta diretta e due per attacchi diversivi, ma Esmonde,
avvertito della probabilità che questa scorta arrivasse in ritardo, stabilì che la partenza avvenisse non più tardi delle 12.25.
Quindi decollò con il suo gruppo e virò intorno alla base di Manston. Gli Swordfish armati di siluro avevano una velocità di
crociera di 140 km/h e poca autonomia, così che un ulteriore ritardo avrebbe potuto significare la probabilità che l’obiettivo
venisse a trovarsi fuori dal loro raggio d’azione.
Alle 12.28 agli Swordfish si unì un gruppo isolato di 11 Spitfire. Esmonde decise di non aspettare oltre e si mise in rotta
alle 12.30, scortato da un solo gruppo di Spitfire invece di cinque.
Le motosiluranti di Dover avevano sperato di passare inosservate attraverso lo schermo difensivo esterno durante gli attacchi
diversivi delle cannoniere e dei cacciabombardieri, ma né l’appoggio aereo né quello di superficie giunsero in tempo, a causa di
ulteriori ritardi e confusione, per cui le unità inglesi dovettero affrontare in pieno il fuoco della scorta. Anche i caccia
tedeschi scendevano in picchiata facendo fuoco su loro e le motosiluranti furono costrette a rompere la formazione e ad attaccare
separatamente.
Una dopo l’altra furono respinte, così che la maggior parte dei loro siluri fu lanciata da distanze di oltre due miglia. Nessun
siluro raggiunse il bersaglio.
Mentre le motosiluranti si ritiravano, i primi tre Swordfish, provenendo da poppavia, si facevano strada attraverso l’intenso contrasto della caccia verso la linea esterna di difesa. Dopo essersi messi in rotta erano stati esposti per dieci minuti all’attacco dei caccia, con i ME109 ei FW190 che picchiavano direttamente su di loro dalla bassa coltre di nubi. Gli Spitfire si gettarono a loro volta sui caccia tedeschi, ma presto persero il contatto con gli Swordfish che si muovevano lentamente e finirono con l’essere coinvolti in una mischia generale. I caccia tedeschi attaccavano in coda in rapido avvicendamento, mentre i mitraglieri e gli ufficiali di rotta degli Swordfish, in piedi nei loro abitacoli aperti, urlavano istruzioni per sfuggire al tiro. La bassa velocità degli Swordfish imbarazzava i piloti tedeschi, i cui tiri risultarono troppo lunghi, mentre gli Swordfish invertivano la rotta, costringendo i tedeschi a mutare tattica. Cominciarono ad attaccare simultaneamente al traverso e in coda e parecchi degli Swordfish furono colpiti e i membri dei loro equipaggi feriti. Ma quando le sagome confuse delle grandi navi apparvero davanti a loro uscendo dalla cortina fumogena, tutti e sei gli Swwordfish erano ancora in volo.
La pattuglia di testa individuò bene lo Scharnhorst e riuscì a penetrare attraverso la cortina, ma tutti e tre i piloti erano stati gravemente feriti. Lanciarono i loro siluri, ma Esmonde, il loro capo, precipitò in mare immediatamente dopo, e gli altri due furono costretti all’ammaraggio nel giro di poco più di un minuto. Questi due equipaggi — uno degli uomini era già morto — furono raccolti più tardi dalle motosiluranti i cui uomini erano rimasti per osservare l’attacco e per portare aiuto.
Si vide allora la seconda squadriglia di Swordfish attraversare la cortina formata dagli EBoot in formazione a cuneo. Si ritiene che tutti abbiano sganciato i loro siluri, ma nessuno raggiunse il bersaglio. Tutti gli nerei furono abbattuti e non vi furono supestiti. Così dei 18 uomini del gruppo degli Swordfish, soltanto cinque sopravvissero. Tutti furono decorati al valor militare, gli scomparsi furono menzionati nei bollettini ed ad Esmonde e al suo equipaggio, fu concessa la Victoria Cross alla memoria.
Erano le ore 13 e la divisione tedesca stava passando davanti a Ramsgate; ma le motosiluranti ivi dislocate non riuscirono a forzare la cortina difensiva esterna, e furono ben presto lasciate indietro. Quando cercarono di raggiungere nuovamente le unità tedesche ebbero avarie alle macchine e questo fatto, con il peggiorare delle condizioni atmosferiche e con il mare che si andava ingrossando, le costrinse a invertire la rotta è rientrare in porto.
Le unità tedesche, tuttora indenni, si stavano avvicinando a un altro punto pericolono lo stretto canale che attraversa i banchi di
sabbia di Ruytingen, che era stato minato ma poi era stato dragato e segnato con quattro natanti di segnalazione. Un attacco
coordinato sferrato in questo punto avrebbe potuto rappresentare una seria minaccia.
Circa 250 aerei del comando bombardieri Halifax, Stirling, Manchester, Wellington, Hampden — erano stati preavvisati di tenersi
pronti per attaccare, e 100 di essi avevano effettuato il carico di bombe, ma tutte di tipo perforante; la base dello strato quasi
compatto di nubi era a circa 200 metri, una quota troppo bassa perché quelle bombe potessero essere efficacemente impiegate.
In alcuni casi le bombe perforanti furono lasciate a bordo degli aerei, nella speranza che si verificasse qualche schiarita;
ma la maggior parte degli equipaggi ebbe l’ordine di sferrare attacchi da bassa quota con bombe normali.
Alle 13 gli equipaggi dei bombardieri, alcuni dei quali erano stati in azione sul territorio tedesco
la notte precedente, non erano ancora stati riuniti in formazioni né avevano ricevuto istruzioni. Lo stesso dicasi per la maggior
parte dei Beaufort. Quelli che erano stati lasciati a St Eval erano in volo verso oriente, quelli di Leuchars erano in fase di
rifornimento di carburante. Si poteva per il momento sperare soltanto nei Beaufort di Thorney Island, e Joubert decise di
impiegarli per danneggiare la divisione tedesca in modo da farla rallentare perché potesse poi essere raggiunta da formazioni
aeree più potenti. Fu disposto che si incontrassero con la scorta di aerei da caccia alle 13.40 nel cielo di Manston, il che
voleva dire che avrebbero sferrato l’attacco alle 14.15 circa. Se fossero riusciti a raggiungere l’obiettivo entro quell’ora,
o alcuni minuti prima, avrebbero ancora potuto sorprendere le navi nella strettoia di Ruytingen.
Furono riuniti gli equipaggi dei quattro Beaufort di Thorney Island armati di siluri; gli altri dovevano seguirli appena pronti.
Quando i quattro Beaufort decollarono alle 13.25, era già evidente che sarebbero giunti a Manston con venti minuti di ritardo.
Il loro comando, rendendosene conto, ordinò via radio di non passare da Manston e di incontrarsi con la scorta nelle vicinanze
dell’obiettivo, ma dimenticò che questi Beaufort, per i loro compiti a Thorney Island, erano stati muniti di apparecchi radio
in sintonia con speciali lunghezze d'onda: gli Spitfire ricevettero la comunicazione, ma i Beaufort no. Così i Beaufort arrivarono
nel cielo di Manston e tentarono di unirsi a un’altra squadriglia di Spitfire che in realtà era destinata ad una missione diversa.
Due Beaufort continuarono la rotta per conto loro, ma, come era prevedibile, non riuscirono a trovare le navi e, tornati a Manston,
vi atterrarono alle 15.35. Lì furono informati che i rimanenti cinque Beaufort di Thorney Island, che avevano ora ricevuto le
istruzioni esatte, erano in volo verso l’obiettivo. Prima di poterli seguire, dovettero però rifornirsi di carburante.
Se la formazione navale tedesca fosse stata seguita per tutto il pomeriggio, gli inglesi sarebbero venuti a sapere una notizia molto importante. Alle ore 14.31 lo Scharnhorst aveva urtato una mina. Ciliax e il suo stato maggiore si trasferirono sul cacciatorpediniere di testa, ma questa nave a sua volta subì dei danni per lo scoppio prematuro di una delle sue granate, e l'ammiraglio tedesco decise di trasbordare nuovamente. Mentre veniva portato con una lancia da un cacciatorpediniere all’altro, entrambi furono attaccati dalla prima ondata di bombardieri della RAF che, avendo decollato dalle ore 14.20 in avanti, erano finalmente comparsi sulla scena. L'ammiraglio e il suo capo di stato maggiore, seduti senza riparo alcuno nella lancia, videro allora lo Scharnhorst che procedeva di nuovo a tutta velocità, sorpassarli senza fermarsi; e furono poi bombardati da un Dornier.
Nel frattempo i Beaufort di Thorney Island stavano attaccando lo Gneisenau e il Prinz Eugen. Alcuni Beaufort erano stati così gravemente danneggiati durante il percorso che non poterono lanciare i loro siluri: uno di essi fu abbattuto, gli altri riuscirono a passare e sferrarono attacchi decisi, ma nessuno di essi ebbe successo. Un attacco sferrato contro lo Scharnhorst a questo punto avrebbe potuto sortire l’effetto desiderato.
I cacciatorpediniere di Harwich avevano in origine disposto i loro piani per un attacco notturno; sapevano di aver ben poche speranze di successo se avessero attaccato di giorno a distanza ravvicinata. E per raggiungere le navi tedesche essi avrebbero ora dovuto attraversare un campo minato inglese che era chiaramente segnato sulle loro carte nautiche. Erano sei cacciatorpediniere — il Campbell, il Mackay, il Vivacious, il Worcester, il Whitshed e il Walpole — che si ridussero a cinque quando il Walpole, a causa di un’avaria alle macchine, ritornò ad Harwich.
La decisione di attraversare il campo minato era coraggiosa, ma fu sminuita dalla notizia, giunta qualche ora dopo, che il campo era
in realtà già stato dragato. Bombardati ogni tanto dagli aerei dell’una e dell’altra parte, i cacciatorpediniere raggiunsero la
cortina difensiva esterna poco dopo le 15.30.
Il capitano Pizey, comandante della flottiglia, scelse la nave di testa, lo Gneisenau, e gli altri quattro cacciatorpediniere
sferrarono i loro attacchi gli uni indipendentemente dagli altri. Riuscirono a forzare la cortina esterna, ma poi i cannoni pesanti
delle navi maggiori cominciarono ad aggiustare il tiro, così che i cacciatorpediniere britannici furono costretti a lanciare i loro
siluri da grande distanza. Soltanto uno dei cacciatopediniere, il Worcester, si avvicinò fino a 2.700 metri e, colpito più volte,
prese fuoco. I tedeschi diedero questa nave come affondata, ma in realtà essa riuscì a ritornare a Harwich, sotto la protezione
delle altre unità. Quattro membri del suo equipaggio rimasero uccisi in combattimento e 19 feriti. Nessuno dei siluri del
cacciatorpediniere raggiunse il bersaglio.
I Beaufort di Leuchars — ridotti a nove per il mancato arrivo a Coltishall di una unità mobile di siluranti avevano decollato da
Coltishall alle 14.30, diretti a Manston dove dovevano incontrare gli aerei da caccia di scorta. Quando arrivarono sopra Manston,
un gruppo di Hudson e alcuni Spitfire stavano volteggiando nel cielo di quella località, e ne seguì una scena buffa, poiché i
Beaufort cercavano di schierarsi al seguito degli Hudson, secondo le istruzioni ricevute, mentre questi, anch’essi secondo le
istruzioni che avevano ricevuto, cercavano a loro volta di staccarsi e di seguire i Beaufort. I tentativi di stabilire un contatto
radio fallirono perché i due gruppi operavano su lunghezze d’onda differenti.
Alla fine, esasperati, gli equipaggi dei Beaufort fecero rotta per conto loro verso l’obiettivo. Alcuni degli Hudson li seguirono,
e più tardi gli Spitfire li sorvolarono, anch’essi dirigendosi verso gli obiettivi.
I Beaufort fecero rotta verso la costa olandese, con l’intenzione di compiere una finta e di piombare poi di là sulla divisione tedesca. Durante questa fase sorvolarono i cacciatorpediniere di Harwich, uno dei quali aveva un incendio a poppa e, malgrado il frenetico ordine « non attaccate » lanciato dal capogruppo dei Beaufort, uno di questi si staccò dalla formazione e incominciò un’azione di siluramento. Il pilota si accorse del suo errore e non lanciò il suo siluro, ma intanto aveva perso il contatto con la sua formazione e finì per rientrare alla base e per atterrare col siluro ancora a bordo.
Le condizioni atmosferiche sul Mare del Nord erano ora le più favorevoli che ci si potesse attendere per un attacco di aerosiluranti — con nubi basse e banchi di nebbia che permettevano ai Beaufort di Leuchars di avvicinarsi non visti all’obiettivo. Tuttavia la confusione creatasi intorno alla formazione navale tedesca aveva raggiunto l’apice. Ogni sorta di aerei tedeschi e britannici appariva coinvolta nella battaglia, alcuni a bassa quota, altri che sfrecciavano dentro e fuori dalle nubi. C'erano Dornier, Heinkel, Messerschmitt, FW190, Junkers 87 e Junkers 88; c'erano Beaufort, Hudson, Spitfire, Whirlwind, Halifax, Hampden, Wellington, Manchester. C'erano anche i cacciatorpediniere di Harwich in ritirata, benché agli equipaggi della RAF fosse stato detto che in mare non c’erano che navi nemiche.
Mentre i Beaufort scendevano a venti metri di quota per lanciare i loro siluri, enormi spruzzi d’acqua si sollevavano intorno a loro, provocati dalle bombe lanciate dagli aerei che volavano a quote superiori. Questi equipaggi guidati dal maggiore W. H. Cliff, condussero l’attacco principale dei Beaufort, separandosi e puntando sulle unità di testa da entrambi i lati. Due di essi ritardarono il loro attacco e presero di mira lo Scharnhorst che stava tentando di raggiungere il resto della divisione. Almeno due dei Beaufort scesero così rasenti all’obiettivo che i loro armieri mitragliarono il ponte di un incrociatore da battaglia, ma tutti i siluri mancarono il bersaglio.
Per la prima volta la formazione navale tedesca si trovava ad affrontare un attacco concentrato e sembrò quasi un miracolo che nessuno dei colpi arrivasse a segno. I bombardieri della RAF attaccarono in tre ondate, ma le nuvole permanevano basse e, benché la maggior parte dei 242 bombardieri inviati all'attacco fosse giunta in vicinanza dell’obiettivo, soltanto uno su sei fu in grado di sganciare le sue bombe, e molti di essi non riuscirono neppure a localizzare le navi. Altri le individuarono, ma non riuscirono ad attaccarle, malgrado i ripetuti tentativi di sollevarsi ad una quota sufficientemente alta; ogni volta che tentavano di farlo, si trovavano in mezzo alle nubi. Risulta che soltanto 39 bombardieri sganciarono le loro bombe sulle navi, e nessuna di esse raggiunse il bersaglio. Una quindicina di bombardieri andarono perduti.
Rimaneva un’ultima speranza: i Beaufort di St Eval; ma quando questi ultimi raggiunsero finalmente la posizione presunta delle navi
erano ormai quasi le ore 18.00.
Scendeva la notte, e nessuno di questi aerei riuscì a individuare l’obiettivo. Le forze assegnate all’operazione « Fuller »,
in teoria piuttosto cospicue, non erano così nemmeno riuscite a far ritardare la navigazione delle unità Tedesche, benché una
di esse avesse urtato una mina posata in precedenza, e avessero perso una piccola nave di scorta e 17 aerei
da caccia. Anche i britannici persero 17 caccia, oltre a 15 bombardieri, tre Beaufort e sei Swordfish.
In precedenza, in quello stesso giorno, il comando bombardieri aveva suggerito che, invece di sforzarsi inutilmente di effettuare bombardamenti che non avevano alcuna probabilità di riuscita, venissero lanciate mine sul tratto di mare che le navi dovevano percorrere; ma il ministero dell’aviazione, dopo essersi consultato con l’Ammiragliato, aveva deciso che l'operazione venisse eseguita secondo i piani prestabiliti. Questo fu un altro errore di valutazione da parte britannica; infatti nella tarda serata, al largo delle isole Frisone, entrambi gli incrociatori da battaglia tedeschi urtarono mine che erano state in precedenza lanciate da aerei del comando bombardieri. Ormai la cattiva visibilità aveva costretto i tedeschi a rompere la formazione, ma tutte le unità alla fine giunsero in salvo in acque tedesche. Lo Scharnhorst, un po’ zoppicante, arrivò all’alba del mattino seguente. L'ammiraglio Ciliax poté allora comunicare a Berlino che l'operazione « Cerbero » era stata felicemente conclusa.
Il piano tedesco, a prescindere dal fatto che non aveva preso in considerazione l’uso del radar da parte degli aerei britannici, che avrebbe dovuto svelare la fuga fin dal suo inizio, era dettagliato e completo, e fu eseguito arditamente. Il piano britannico, benché basato su informazioni esatte, mancava di iniziativa e di immaginazione e fu eseguito, per lo più, in modo sommario e inefficiente. Il piano tedesco godeva di tutti i vantaggi che favoriscono chi prende l’iniziativa di un’azione; il passaggio fu una dimostrazione lampante che tali vantaggi sussistono in modo notevole anche quando l’azione può essere prevista con molta precisione.
Gli equipaggi dei bombardieri della RAF non erano stati addestrati a sferrare attacchi contro obiettivi in movimento in mare, neppure col bel tempo, mentre gli equipaggi degli aerosiluranti non avevano alcuna pratica di obiettivi di quella mole e di quella velocità. Per colpire queste navi da una distanza di circa 1.800 metri — e pochi equipaggi dei Beaufort riuscirono ad avvicinarsi più di tanto — essi avrebbero dovuto mirare sei o sette lunghezze davanti alla prua: ma nessuno aveva fatto questo calcolo. Tutto ciò faceva parte del carattere superficiale e sommario dei piani britannici. La precisa valutazione delle informazioni ricevute fatta nei quindici giorni che avevano preceduto l’uscita non fu mai tradotta in piani d’attacco pratici e ragionati. Anche se le navi fossero state scoperte sin dall'inizio, è improbabile che sarebbero state sensibilmente danneggiate.
Il passaggio di queste navi da Brest a un porto tedesco attraverso il canale della Manica, per quanto spettacolare fosse, non costituiva una minaccia per la strategia di guerra britannica, e perciò l’ Ammiragliato non impiegò per contrastarlo alcuna delle grandi unità navali, mentre il ministero dell'aviazione era restio a mantenere le sue forze operative inattive per addestrarle e prepararle per l'occasione. L'ammiraglio Raeder, tirando le somme dell’operazione, disse che la marina tedesca « pur ottenendo una vittoria tattica, aveva subito una sconfitta strategica », mentre Roosevelt, in un telegramma a Churchill, esprimeva la sua opinione che « la dislocazione di tutte le navi tedesche in Germania rende più semplice il nostro comune problema navale nell’ Atlantico settentrionale ». Da Brest esse minacciavano tutti i convogli atlantici diretti ad oriente, costringendo a prevedere per ognuno di essi una scorta di due navi da battaglia; ora quella loro posizione a cavallo di comunicazioni marittime vitali per la Gran Bretagna era stata abbandonata.
In quel giorno che aveva messo in drammatica evidenza la loro mancanza di addestramento e di collaborazione, gli inglesi erano riusciti a vincere una battaglia strategica. Era stata ben meritata, ma non era stata meritata in quell’occasione. Malgrado il coraggio con cui vennero condotti molti singoli attacchi contro le navi, attacchi nei quali rifulse il sacrificio degli equipaggi degli Swordfish, la storia delle operazioni eseguite quel giorno è una storia di confusione, errori ed inerzia. Soltanto se fosse stata costituita qualche settimana prima una forza con il compito di effettuare operazioni combinate e fosse stata bene addestrata al comando di un capo veramente abile (e tale forza non avrebbe potuto esser creata se non sotto l’incombere di una minaccia) ci sarebbe stata qualche effettiva speranza di danneggiare le navi. Quando l’artiglieria contraerea tedesca non veniva costretta al silenzio e i caccia procedevano incontrastati, le operazioni di questo tipo erano destinate al fallimento, Una sorte tragica attendeva le tre navi tedesche dopo il brillante passaggio attraverso la Manica. Il Prinz Eugen fu silurato e messo fuori combattimento dieci giorni dopo da un sommergibile britannico; lo Gneisenuau fu colpito due settimane più tardi a Kiel dal comando bombardieri e non poté mai più riprendere il mare; e lo Scharnhorst, posto fuori combattimento per otto mesi, fu successivamente affondato da una formazione navale britannica nelle acque dei mari del nord nel dicembre del 1943.
La fuga delle navi da Brest ebbe un’altra grande ma imponderabile conseguenza strategica: essa rafforzò la fede che Hitler aveva nella propria intuizione e nel proprio genio, a spese della sua fiducia nei consiglieri militari, proprio in un momento in cui si insisteva perché abbandonasse i suoi piani di un’ulteriore offensiva ad oriente.