Premesse.
Il 28 ottobre 1940, quando Mussolini aveva ordinato di attaccare la Grecia partendo dall'Albania, si era dimostrato convinto della vittoria nel giro di poche settimane, ma la resistenza greca sconvolse il calendario delle ambizioni fasciste e quella che doveva essere una breve campagna autunnale in territorio greco diventò una guerra in Albania. Agli inizi del 1941 quattordici divisioni greche presidiavano una linea lunga dai 32 ai 48 km oltre i confini in Albania e facevano pressione sulle diciannove divisioni italiane per respingerle verso il porto di Valona. La dichiarazione di guerra di Mussolini non era piaciuta a Hitler il quale aveva sperato di conquistare la penisola balcanica con manovre politiche e l'azione militare italiana aveva offerto agli inglesi l'occasione di mettere piede nei Balcani e quindi di minacciare i giacimenti petroliferi romeni la più importante fonte di rifornimento della Germania.
Il generale Wavell comandante in capo britannico nel Medio Oriente, presagi con esattezza gli sviluppi della situazione nel novembre del 1940, quando disse: " Sono sicurissimo che la Germania non permetterà che l'Italia sia sconfitta o tenuta in scacco dalla Grecia. Perciò dovrà intervenire ".
Inoltre Hitler doveva andare in aiuto degli italiani anche in Africa Settentrionale dove le truppe di Graziani alla fine del 1940 si trovavano in una posizione critica. Il 14 febbraio 1941 Hitler mandò in Libia un'unità che diventò il nucleo dell'Afrikakorps al comando del generale Erwin Rommel. Lo stesso mese negli aeroporti della Sicilia fecero la loro comparsa unità aeree tedesche che dovevano operare contro il naviglio inglese.
Durante questo tempo il dittatore greco generale Metaxas aveva cercato in tutti i modi di venire a capo di una difficile impresa. Era sua intenzione sconfiggere l'Italia ma voleva evitare al tempo stesso che Hitler intervenisse in aiuto del suo alleato. Il fatto che fino a quel momento le relazioni fra la Grecia e la Germania si fossero mantenute amichevoli induceva Metaxas a sperare nel buon esito del tentativo.
Ciò nonostante Metaxas non poteva trascurare l'eventualità di un possibile attacco tedesco sicché era costretto a adottare una condotta politica che gli lasciasse aperta la possibilità di ricevere aiuto dall'Inghilterra e poiché sapeva che la Germania avrebbe reagito alla presenza di un considerevole contingente di truppe inglesi in Grecia ne avrebbe accettato soltanto una rappresentanza simbolica come aiuto contro gli italiani.
Per quanto concerneva la Germania, manovre politiche coronate da successo le permettevano di procedere ai preparativi militari con una certa calma. La pressione diplomatica di Hitler sull'Ungheria, sulla Romania e sulla Bulgaria ridotte a stati vassalli, aveva consentito alle truppe tedesche di passare attraverso l'Ungheria in un primo tempo per proteggere i giacimenti petroliferi romeni e successivamente per ammassare sul confine bulgaro romeno un esercito pronto a marciare sulla Grecia.
Le truppe combattenti che secondo Wavell sarebbero dovute essere mandate in Grecia erano il 1° gruppo corazzato dell'entità di una brigata al comando del generale HVS Charrington, la divisione neozelandese del generale B.C. Freyberg e la 6ª divisione australiana agli ordini del generale sir Iven Mackay. La divisione australiana e quella neozelandese avrebbero costituito il I corpo d'armata australiano e neozelandese al comando del generale di divisione sir Thomas Blamey. A queste unità si sarebbero aggiunti due reggimenti d'artiglieria di medio calibro, che più tardi sarebbero stati seguiti dalla 7ª divisione australiana e dalla brigata dei polacchi liberi. Le forze aeree che Longmore poteva mettere a disposizione del comandante del BEF (British Expeditionary Force, corpo di spedizione britannico) erano inferiori alle necessità, perché negli ultimi tempi la consistenza numerica dei contingenti della RAF che operavano nel Medio Oriente era diminuita. Cinque gruppi erano già stati inviati in Grecia per il fronte albanese e il generale riteneva che il totale non avrebbe potuto essere superiore agli otto gruppi.
I greci avevano ormai abbandonato la speranza che evitando la provocazione, di avere truppe inglesi nel loro territorio, avrebbero potuto impedire l'invasione tedesca, il 23 febbraio accettarono formalmente l'aiuto della Gran Bretagna.
L'organizzazione della difesa.
Le discussioni fra i capi militari dei due paesi si complicarono per il fatto che non si conoscevano le intenzioni della Iugoslavia. Per ragioni storiche le posizioni difensive greche erano state costruite sul confine con la Bulgaria considerata il nemico potenziale per eccellenza e la linea Metaxas un sistema difensivo di fortificazioni si snodava lungo il confine greco bulgaro della Macedonia orientale e della Tracia ma non si estendeva a quello greco iugoslavo della Macedonia occidentale. Se la Germania avesse violato la neutralità iugoslava, o se gli iugoslavi si fossero uniti alla Germania oppure avessero consentito il passaggio di truppe tedesche attraverso il loro territorio lo sguarnito confine greco iugoslavo sarebbe dovuto essere difeso dagli alleati specialmente a nord di Florina dove in un punto della gola incassata fra le montagne, il valico di Bitolj, avrebbe consentito il transito agli invasori. Il comandante in capo greco generale Papagos era fortemente condizionato dalla speranza di poter avere la Iugoslavia come alleata nella guerra e favoriva soprattutto la difesa della linea Metaxas. La linea era lunga circa 160 km e si sviluppava per buona parte lungo il confine greco bulgaro dai monti Belasica vicino Dojran fino alla foce del Néstos, con opere di fortificazione isolate a oriente, nella Tracia. Dietro la prima linea ne correva una seconda che scendeva dalla catena dei monti Belasica lungo il corso dello Struma. Ma entrambe le posizioni si estendevano poco in profondità e se anche avessero retto all'assalto sarebbe stato necessario ricordare che gli aeroporti bulgari si trovavano a poca distanza da Salonicco da 80 a 160 km appena e che il porto non solo era privo di difese contraeree, ma anche di un sistema di allarme per cui sarebbe stato esposto sin dagl'inizi ai bombardamenti che l'avrebbero reso inutilizzabile per il trasferimento dei rinforzi.
Una posizione difensiva assai più forte era rappresentata dalla linea Aliacmo nella Grecia settentrionale, lunga circa 96 km, che dalla foce dell'Aliacmo vicina al monte Olimpo si estendeva attraverso Véroia e Edessa, fino al confine iugoslavo nei pressi del monte Kajmakcialan. Le catene montuose attraversate da tre gole costituivano un sistema difensivo naturale con posizioni che offrivano il vantaggio di proteggere la strada dei rifornimenti per la Grecia meridionale e ottimi punti d'osservazione sull'aperta pianura macedone. Se la Iugoslavia non si fosse unita agli alleati la linea Aliacmo avrebbe rappresentato la miglior possibilità di resistenza contro i tedeschi, sempre che la Iugoslavia avesse negato alla Wehrmacht il passaggio attraverso il suo territorio. Se invece i tedeschi fossero arrivati dalla Iugoslavia, avrebbero potuto aggirare anche questa linea sulla sinistra e le armate dell'Epiro sarebbero rimaste scoperte.
Per rendersi indipendenti dall'aiuto iugoslavo e per proteggersi da infiltrazioni attraverso il passo di Bitolj era necessario stabilire una linea difensiva più a sud appoggiata sulla destra al monte Olimpo che attraversasse la Grecia e sulla quale avrebbero potuto ripiegare le truppe greche che si trovavano sul fronte albanese. La proposta avanzata dagli inglesi sollevò forti obiezioni da parte di Papagos. L'esercito greco stava preparando un'offensiva che mirava alla conquista del porto di Valona e all'annientamento delle forze italiane in Albania. In caso di successo le truppe greche su quel fronte sarebbero state disponibili per concorrere a respingere i tedeschi.
L'esercito greco consisteva in 21 divisioni che, tranne 6, si trovavano in Albania. Di queste sei tre sarebbero state dislocate a difesa della linea Metaxas, oltre a qualche sparuto presidio simbolico nei forti isolati della Tracia, mentre la 121 divisione greca della Tracia occidentale, insieme con altre due la 20ª di fanteria di stanza a Flórina e la 1921 motorizzata che si trovava a Larissa, avrebbero preso posizione sulla linea Aliacmo con i 7 battaglioni autonomi della Tracia occidentale. Questo significava che il contributo greco alla linea difensiva principale sarebbe stato di circa 23 battaglioni al posto dei 35 promessi in un primo tempo. Da parte loro gli inglesi avrebbero fortificato e guarnito di truppe la linea Aliacmo, secondo gli accordi intercorsi.
La 12ª armata tedesca aveva ricevuto l'ordine di conquistare la Grecia e alla fine del 1940 incominciò a concentrarsi in Romania al comando del generale List il cui primo compito era quello di assicurare alla sua armata una certa rapidità di movimenti sul Danubio non appena avesse ricevuto l'ordine di passare in Bulgaria. L'unico ponte in buone condizioni era quello di Czernawoda, dove passavano la ferrovia e l'oleodotto diretti a Costanza sul Mar Nero ma per tutto il febbraio 1941 il Danubio sarebbe rimasto bloccato dai ghiacci, più o meno fino all'altezza di Giurgiu sicché in attesa del disgelo primaverile i genieri tedeschi trovarono il tempo di costruire altri tre ponti supplementari prima che la 12ª armata entrasse in azione: uno a Giurgiu lungo 1.200 m, un altro a Turnu Magurele e un terzo a Bechet.
Il 4 marzo il primo convoglio di navi mercantili e da guerra che portavano a bordo le truppe e i rifornimenti destinati alla Grecia lasciò l'Egitto. Una parte del 1° gruppo corazzato della forza di una brigata, le avanguardie del 1° corpo d'armata australiano e neozelandese e la 6ª divisione australiana furono imbarcate sugl'incrociatori Gloucester York e Bonaventure. Altri convogli seguirono a tre giorni di distanza l'uno dall'altro, ma al Pireo e a Volo le operazioni di sbarco si svolgevano quotidianamente perché le navi da guerra adibite al trasporto delle truppe precedevano di gran lunga quelle mercantili e la loro scorta di naviglio leggero. La protezione dei convogli era affidata a unità leggere della Royal Navy: quattro incrociatori e quattro cacciatorpediniere.
Le navi da guerra italiane, i sommergibili di base a Léros e bombardieri in picchiata di base a Rodi eseguirono frequenti attacchi lungo la rotta marittima per Atene che furono coronati da notevoli successi perché la protezione offerta dai caccia della RAF appartenenti alla base di Creta era scarsa dato che i campi d'aviazione dell'isola non erano ancora stati completamente allestiti. Le perdite subite durante il trasporto del corpo di spedizione britannico salirono a 25 navi per un totale di 115.026 t, ma di queste soltanto 7 furono affondate mentre navigavano in convoglio. Buona parte delle perdite si verificò quando le navi si trovavano in porto oppure quando ritornavano ad Alessandria senza carico. Nonostante tutte queste difficoltà gli inglesi stabilirono una base avanzata a Larissa dove ammassarono rifornimenti sufficienti per sessanta giorni. Altri depositi avanzati furono istituiti a Livádion a Sérvia a Kozáni a Véroia a Edessa e ad Amynteon. Alla fine della prima settimana d'aprile erano state scaricate e trasportate fino alle basi avanzate 14.000 t di materiali, scorte di carburanti e lubrificanti sufficienti per trentotto giorni, munizioni e parti di ricambio per artiglieria.
Sul fianco destro dalla costa nei pressi di Katerini fino ai monti della Piéria i neozelandesi avevano il difficile compito di tenere una linea lunga poco meno di 210 km. I generali Blamey e Freyberg responsabili di questa posizione cosi pericolosamente esposta consigliarono di modificare la linea per servirsi del monte Olimpo come bastione della parte costiera. La 6ª divisione australiana era attestata al passo di Servia nella valle dell'Aliacmo centrale con la sua 16ª brigata pronta ad avanzare su Véroia in appoggio alla 12ª divisione greca che si trovava li fra i monti Vérmion. Un reggimento della 12ª divisione greca era distaccato sui monti della Piéria sul fianco sinistro dei neozelandesi mentre la 20ª divisione greca si trovava anch'essa sui monti Vérmion ma più a nord vicino a Edessa.
Nel 1940 la RAF aveva mandato in Grecia cinque gruppi per appoggiare le operazioni in territorio albanese e nel 1941 in vista della minaccia tedesca ne aveva potuto riservare soltanto altri tre per questo fronte: il gruppo 111 costituito da Blenheim il 112 formato da caccia Gladiator e il 33 composto di Hurricane, Il generale di divisione aerea D'Albiac li riorganizzò in tre stormi. Lo stormo occidentale formato da un gruppo di bombardieri e da uno di caccia Gladiator operava sul fronte albanese; lo stormo orientale destinato a operare in appoggio alle truppe che sarebbero state opposte all'invasione germanica aveva la base nei pressi di Larissa. Infine un gruppo di bombardieri e uno di caccia insieme con un gruppo dell'aviazione addetta all'esercito formavano il terzo stormo con base negli aerodromi vicini alla capitale; inoltre vi erano alcuni aerosiluranti Swordfish appartenenti all'aviazione della marina, le forze aeree inglesi comprendevano in tutto un'ottantina di apparecchi.
La Luftwaffe aveva 400 bombardieri e 380 fra caccia e aerei da ricognizione; con i 320 aeroplani italiani operanti nel settore albanese gli apparecchi dell'Asse ammontavano a un totale di 1.100.
List aveva sotto il proprio comando tre corpi d'armata per complessive sei divisioni di fanteria (con un'aliquota di uomini addestrati ai combattimenti in montagna) tre divisioni motorizzate due divisioni corazzate dotate di circa 200 carri armati e due divisioni di riserva, oltre al XLI corpo motorizzato al comando del generale Reinhardt e il I Panzergruppe al comando del generale von Kleist. La 12ª armata tedesca diede inizio all'aggressione della Grecia il 6 aprile alle 5.15.
Nello schieramento delle forze alleate, queste erano state frazionate in tre gruppi: un'armata greca in Macedonia una seconda armata greca in Albania e le forze miste greco britanniche sulla linea Aliacmo con reparti avanzati nella pianura del Vardar. List seppe sfruttare a proprio vantaggio questa dispersione nello schieramento avversario basando la propria strategia sull'obiettivo di isolarle l'una dall'altra. Il piano d'attacco del generale tedesco prevedeva che il 60° Panzergruppe penetrasse in Iugoslavia avanzando da sud attraverso il passo di Bitolj per aggirare l'armata greca operante in Albania e congiungersi con le forze italiane nella zona del lago di Ocrida. Il XVIII corpo d'armata di truppe da montagna doveva sfondare la linea Metaxas nel settore centrale e tagliare fuori l'armata greca attestata nella Macedonia orientale con un movimento a tenaglia di cui il XXX corpo d'armata avanzando dalla Tracia occidentale avrebbe rappresentato l'altra branca.
Gli alleati potevano opporre a queste forze: l'armata greca della Macedonia orientale composta dalla 7ª dalla 14ª dalla 18ª divisione e dalla brigata Néstos nonché da tre battaglioni della brigata Evros nella Tracia occidentale insieme con i presidi di due forti. Sulla linea difensiva dell'Aliacmo, il " gruppo W " le cui unità erano ancora in fase di afflusso e l'armata greca della Macedonia occidentale in Albania i cui effettivi erano stati portati a 15 divisioni dopo il vittorioso contrattacco dei greci.
Il 6 aprile il XXX corpo d'armata tedesco del generale Hartmann che comprendeva la 50ª e la 164ª divisione di fanteria lasciò la regione bulgara dell'Arda penetrando nella pianura di Komotini (Tracia orientale) dove la brigata greca Evros inferiore numericamente e male equipaggiata non fu in grado di opporre una efficace resistenza. Soltanto i due forti di Nymféa e di Echinos benché circondati e battuti dal tiro pesante dell'artiglieria tedesca riuscirono a resistere per l'intera giornata.
Una delle colonne tedesche avanzò in direzione di Xánthi la seconda puntò su Komotini facendo quindi una conversione a destra per appoggiare l'attacco contro Xánthi una terza fece pressione a est di Komotini spingendosi verso Alessandropoli sulla costa. Quindi le colonne che avevano superato Xánthi mandarono alcune loro pattuglie avanzate a saggiare le difese della linea Metaxas lungo le rive del Néstos. La brigata Néstos composta di tre battaglioni si era attestata alla foce del fiume e da qui a monte su una linea di 48 km. Sul suo fianco sinistro cinque battaglioni della 7ª divisione greca tenevano una parte delle rive del Néstos e piegando a sinistra nel punto in cui il fiume entra in territorio bulgaro presidiavano le difese a sud di Nevrokop. A partire da qui la linea era tenuta da sei battaglioni della 14ª divisione fino allo Struma e da cinque battaglioni della 18ª divisione dalle rive dello Struma alla frontiera con la Iugoslavia. Il XVIII corpo d'armata tedesco da montagna, agli ordini del generale Bohme sferrò tre attacchi contro tre punti diversi del settore centrale della linea Metaxas. A nord la 2ª Panzerdivision si spinse avanti oltre il confine iugoslavo e nel corso della giornata conquistò Strumica. La 5ª e la 6ª divisione di montagna attaccarono frontalmente la linea Metaxas nella zona di passo Rupel mentre la 72ª divisione di fanteria con l'appoggio dei carri armati dell'artiglieria e degli Stuka avanzò da Nevrokop dirigendosi verso sud per attaccare la linea Metaxas a nord di Serre.
Il XL corpo d'armata motorizzato del generale Stumme penetrò in Iugoslavia con direzione d'avanzata est ovest partendo dalla zona di Kjustendil a sud di Sofia, La 9ª divisione corazzata e la Leibstandarte Adolf Hitler delle SS mossero da Kriva Palanka e da Kumanovo avanzando rapidamente su Skoplje. La 73ª divisione di fanteria, che operava a sud di queste unità, occupò Kozáni e la sera del 6 aprile raggiunse Veles sul Vardar. Più a nord il XLI corpo d'armata motorizzato e il I gruppo motorizzato penetrarono in Iugoslavia puntando direttamente su Belgrado e li passarono sotto gli ordini del feldmaresciallo von Weichs comandante della 2ª armata germanica.
La notte di sabato 6 aprile il porto del Pireo era congestionato di navi appartenenti al convoglio AFN 24 quando fu attaccato dalla Luftewaffe. L'incursione tedesca sul Pireo causò la perdita di 11 navi per un totale di 41.480 t. Il porto era ridotto a un cumulo di macerie e persino dopo i lavori di riassestamento soltanto cinque banchine d'attracco sulle dodici originarie poterono venire rimesse in attività. L'ammiraglio Cunninghain definì l'incursione " un colpo rovinoso " perché aveva privato gli alleati dell'unico porto attrezzato attraverso il quale era possibile far pervenire i rifornimenti al " gruppo W ".
Il forte di Nymféa nella Tracia occidentale resistette tutta la giornata del 7 aprile agli assalti della fanteria tedesca armata di lanciafiamme ma a poco a poco gli approcci delle opere difensive furono distrutti mediante cariche di dinamite bombardamenti di aerei in picchiata e incendi. I ripetuti assalti della fanteria finirono col sopraffare poco prima della mezzanotte la resistenza greca. I superstiti della brigata Evros sconfinarono in Turchia dove furono disarmati.
La Luftwaffe continuò a martellare i depositi militari nelle retrovie della linea Metaxas danneggiando baraccamenti e impianti ferroviari. I forti lungo tutta la linea furono colpiti ininterrottamente da massicci bombardamenti e, quando le truppe germaniche fecero pressione per sfondare la linea tenuta dai difensori greci dovettero sostenere numerosi combattimenti corpo a corpo.
Il 6 aprile distaccamenti delle forze di Bohme conquistarono tre forti nel settore difeso dalla 18ª divisione di fanteria greca grazie all'azione combinata del tiro di sbarramento delle artiglierie dei bombardieri in picchiata dei lanciafiamme e degli apparecchi fumogeni. La minaccia più grave alla linea difensiva era costituita dalla 2ª divisione corazzata tedesca che aveva compiuto una conversione lasciando Strumica sulla sinistra e la sera del 7 aprile era arrivata a Dojran. Se le forze tedesche avessero proceduto in questo senso avrebbero aggirato il fianco della linea Metaxas e sarebbero state in grado di dilagare lungo la valle del Vardar fino a Salonicco. Di fronte alla minaccia il generale Papagos ordinò alla 19ª divisione motorizzata greca che si era attestata nella pianura del Vardar per difenderla da una eventuale invasione di truppe paracadutiste di portarsi nella zona del lago di Dojran a est del Vardar mentre due compagnie di fanteria risalivano a nord muovendo da Salonicco per rinforzarla. Con questo spostamento la zona affidata per la difesa alla 19ª divisione si estese di circa 64 km (e sarà opportuno ricordare che la 19ª divisione era la sparuta unità che non aveva ispirato eccessiva fiducia ai comandanti alleati) ma questo tentativo per salvaguardare una posizione esposta lasciava tuttavia un vuoto non meno pericoloso fra le truppe schierate nella zona di Dojran e il fianco della linea Metaxas, dove si trovava la 18ª divisione greca.
Fino a questo momento il " gruppo W " non era ancora venuto in contatto con le truppe tedesche ma siccome notizie provenienti dalla Iugoslavia riferivano che Skoplje era stata occupata dalla 9ª brigata corazzata germanica la quale stava scendendo adesso verso sud, Wilson prese le disposizioni necessarie per rettificare la linea difensiva dell'Aliacmo, pensando già a una seconda linea che attraversasse il paese più a sud e sulla quale si sarebbero dovute attestare anche le unità greche ritirate dal fronte albanese. Il forte Echinos, nella Tracia si arrese l'8 aprile mentre altri forti della linea Metaxas continuarono a resistere benché il nemico ne distruggesse frequentemente le opere difensive esterne. La minaccia che incombeva su Salonicco si aggravò rapidamente il giorno della fulminea avanzata della 2ª divisione corazzata tedesca (XVIII corpo d'armata) nella zona di Dojran. Un attacco di carri armati sfondò il rado schieramento difensivo della 19ª divisione motorizzata greca e questa fu un'azione d'importanza vitale per tutta la campagna. Gli equipaggi dei carri armati leggeri del 4° reggimento ussari, appartenente alla la brigata corazzata britannica attestato sulla riva occidentale dell'Axiós fecero saltare con le mine la strada e i ponti ferroviari che attraversavano il fiume e per ordine del generale Wilson attraversarono i valichi di Edessa e di Véroia ritirandosi su Kozáni, dove si unirono al gruppo che sbarrava l'accesso al valico di Vévi. La 2ª divisione corazzata tedesca avanzò rapidamente verso Kilkis e interruppe la linea ferroviaria di Salonicco all'altezza di Kilindri impedendo in tal modo alle scarse riserve greche stanziate a Salonicco di trasferirsi per ferrovia sul teatro di guerra principale. La penetrazione in profondità nelle posizioni difensive greche preludeva all'immancabile accerchiamento della linea Metaxas. Reparti avanzati della divisione tedesca raggiunsero la stessa sera i sobborghi di Salonicco e i serbatoi di benzina della zona portuale furono distrutti dai genieri canadesi reparti specializzati di commando affinché non cadessero in mano nemica. Il generale Papagos che nei giorni precedenti aveva ordinato un'offensiva sul fronte albanese impartì il contrordine in vista della minaccia che rappresentava per le unità greche in Albania l'avanzata del XI, corpo d'armata motorizzato tedesco verso il valico di Bitolj. Le tre divisioni tedesche che comprendevano il corpo motorizzato si erano unite a Prilep che fu occupata l'8 aprile.
Nel " gruppo W " due battaglioni della 19ª brigata erano finalmente arrivati dal Pireo e Wilson stabili di dislocarli a Kozáni in modo che fossero disponibili per opporsi sia a un attacco attraverso la valle di Flórina sia a uno condotto dalla pianura del Vardar attraverso la valle dell'Aliacmo. Però questo schieramento implicava il fatto che un fianco della 16ª brigata attestata a Véroia sarebbe rimasto scoperto. L'aggiramento della linea Metaxas effettuato l'8 aprile dal XVIII corpo d'armata tedesco provocò la capitolazione dell'armata greca nella Macedonia orientale e il 9 aprile alle 8 del mattino il grosso della colonna di carri armati tedeschi entrò a Salonicco. Un protocollo dei termini di resa fu negoziato fra il comandante tedesco della 2ª divisione corazzata e il generale Bakopoulos comandante delle forze greche nella Macedonia orientale. La minaccia che il XI, corpo d'armata motorizzato tedesco costituiva per la posizione dell'Aliacmo fu stornata da una rettifica nello schieramento delle forze del " gruppo W ". Il generale Mackay della 6ª divisione australiana assunse il comando dell'unità di arresto già dislocata ad Amynteon e la rinforzò con truppe distaccate dalla sua 6ª divisione e con contingenti della la brigata corazzata che stavano ripiegando dalla pianura del Vardar. Queste forze avevano il compito di contenere l'avanzata tedesca attraverso il valico di Vévi, Il nuovo schieramento fu il risultato di una discussione che si svolse fra i comandanti britannici Wilson, Blamey e Mackay e gli ufficiali dello stato maggiore greco, Papagos, si dichiarò d'accordo sulla nuova linea difensiva che inizialmente avrebbe dovuto estendersi dalle posizioni dell'Aliacmo Olimpo sul fianco destro per risalire quindi a sud di Sérvia e poi sopra Klisúra. Ma la linea dove attuare la resistenza sarebbe stata però molto più a sud di Sérvia lungo la linea del Venétikos e attraverso la catena del Pindo fino allo Ionio. Questo significava che i greci avrebbero dovuto rinunziare non solo a tutto il territorio occupato in Albania ma anche alla Macedonia, perché il loro esercito sul fronte albanese avrebbe dovuto ripiegare sulla catena del Pindo.
Nel frattempo incominciò l'arretramento sulla posizione a mezza strada. Fu giocoforza abbandonare Edessa. La linea correva dal valico di Vévi fino alle colline a sud di Edessa presidiate dalla 20ª divisione greca attraversando l'estrema parte settentrionale del lago Vegorritis. Dalle colline che dominavano Edessa fino a Véroia si doveva attestare la 12ª divisione greca in collegamento con il corpo australiano, formato dalla 16ª brigata australiana e dalla divisione neozelandese e schierato sul settore costiero al comando del generale Blamey. Papagos avrebbe dovuto far subito ripiegare l'armata greca della Macedonia occidentale sulla linea Santi Quaranta Venétikos ma l'ordine fu eseguito soltanto il 12 aprile. Il 10 aprile alle prime luci dell'alba il XL corpo d'armata motorizzato tedesco attraversò il valico di Bitolj; una colonna procedette verso il lago di Prespa per unirsi alle forze italiane in Albania mentre una seconda colonna si diresse a sud verso Vévi. Poco prima delle 7 due pattuglie di carri armati neozelandesi distaccate presso la 1ª brigata corazzata sostennero uno scontro a fuoco con un reparto avanzato germanico, 9 km a nord di Vévi senza subire perdite. Profughi greci e iugoslavi si riversavano attraverso il valico di Vévi, insieme con gruppi di soldati iugoslavi e di poliziotti greci. Verso le 10 vi giunsero le prime pattuglie avanzate tedesche. Dopo che i fuggiaschi ebbero oltrepassato le linee alleate la strada antistante il campo minato fu fatta saltare per ordine del generale Mackay. Le 13 erano passate da poco quando una colonna di veicoli appartenente al Leibstandarte Adolf Hitler delle SS entrò nel raggio d'azione dei pezzi del 641> reggimento artiglieria pesante campale. Nello spazio di pochi giorni fu evidente che la resistenza greca stava crollando sotto il violentissimo attacco e che non era più possibile tenere la lunga linea difensiva dell'Aliacmo. Perciò il generale Wilson costituì una linea più breve, che andava dalla costa dell'Egeo ai valichi del monte Olimpo e da qui, piegando a nordovest, attraversava le montagne fittamente ricoperte di boschi pressoché impraticabili fino al passo di Bitolj.
Il punto più stretto del valico che dalla Iugoslavia immette in Grecia si trova in corrispondenza di Vévi, dove una strada lo attraversa serpeggiando. In questo punto, disponendo di buone postazioni d'artiglieria appoggiate da fanteria e da mitraglieri, sarebbe stato possibile fermare perfino una colonna tedesca motorizzata. Se si voleva che i resti delle forze greco britanniche raggiungessero la nuova linea difensiva e se si voleva dare il tempo all'aliquota dell'esercito greco dislocata in Albania di arretrare per unirsi a loro, era d'importanza vitale impedire che l'armata tedesca forzasse il passo. L'8 aprile pattuglie avanzate di carri armati attestate sui ponti tennero sotto il loro tiro i motociclisti e la fanteria su veicoli cingolati che precedevano la colonna tedesca, fecero brillare le cariche di esplosivo per ostruire la strada e si ritirarono. L'impetuosa avanzata dei tedeschi rallentò e si fece più cauta. Nella zona del passo di Bitolj, Wilson aveva già alcuni reparti della sua brigata corazzata. Nella notte dall'8 al 9 aprile la rinforzò con una compagnia di mitraglieri neozelandesi e con i rimanenti carri armati e cannoni controcarro, rivolse un pressante SOS alla brigata australiana, che era arrivata proprio in quel momento aprendosi faticosamente il passo per la strada che partiva da Atene chiedendo altri rinforzi di fanteria.
Gli uomini avevano già trascorso sette estenuanti giornate in mezzo alla neve, senza concedersi un vero riposo e senza consumare un pasto caldo, All'alba del 10 aprile fu distaccato un battaglione di fanteria, e riuscì ad arrivare al valico poco prima del crepuscolo con una marcia forzata attraverso le montagne. Gli uomini furono mandati immediatamente sulle pericolose posizioni avanzate del pendio, con l'ordine di trincerarsi. A causa del terreno gelato e roccioso non era possibile scavare trincee molto profonde, ma siccome era assai probabile che i tedeschi intendessero sferrare l'attacco nelle primissime ore del giorno successivo gli australiani continuarono a lavorare febbrilmente.. Il reggimento carri gli ussari del reggimento Northumberland e le batterie controcarro della brigata corazzata formavano la riserva, mentre le batterie dell'artiglieria a cavallo salirono al valico con i loro pezzi da 25 libbre (88 mm). Tre reggimenti di fanteria rinforzati da tre di artiglieria dovevano quindi difendere una posizione montana di circa 20 km. L'ordine era di una semplicità estrema: sbarrare il passo ai tedeschi per almeno due giorni o possibilmente tre.
La mattina dell'11 aprile, seconda giornata, era tetra nebbiosa e sferzata dal vento che faceva mulinare la neve, la visibilità era ridotta a 5 9 metri. I carri armati tedeschi cominciarono ad avanzare ma furono costretti a fermarsi quando due finiti sopra il campo minato rimasero danneggiati e impossibilitati a muoversi. Più tardi arrivarono sul posto alcuni cannoni tedeschi da 105 mm che aprirono il fuoco sulle pendici avanzate dove gli artiglieri controcarro e la fanteria australiana avevano cercato riparo e poco prima di sera due battaglioni di fanteria tedeschi attaccarono a cavallo della strada ma il tiro dell'artiglieria li costrinse a fermarsi. L'attacco fu ripreso dopo che fu scesa l'oscurità e riuscirono ad arrivare a soli 270 m dalla linea degli alleati e da lì durante la notte una compagnia sferrò un furioso assalto contro gli australiani. Nella convinzione che il giorno seguente i carri armati tedeschi si sarebbero aperti un varco aggirando il fianco il 3° reggimento carri fu inviato sul posto per far fronte alla minaccia, era praticamente un'unità di nuova costituzione perché quella originaria era stata polverizzata durante gli ultimi giorni di Dunkerque. I vuoti nei ranghi dei superstiti erano stati colmati e il reggimento equipaggiato con nuovi carri modello 1937 (A 13) era stato mandato in Egitto ma prima ancora di avere la possibilità di entrare in azione fu dirottato sul fronte greco e i carri armati nuovi furono sostituiti con i più lenti A 10 modello 1935 veterani del deserto che avevano i cingoli già quasi completamente logori. Tutti e 52 rimasero in Grecia 51 immobilizzati da guasti meccanici uno solo distrutto dal nemico.
Il 12 aprile, i tedeschi sferrarono l'attacco vero e proprio con la fanteria in formazioni massicce schierate su un vasto fronte e appoggiate dal fuoco di mitragliatrici mortai e cannoni. Il plotone avanzato degli australiani fu travolto, alla fine di un disordinato combattimento durato sei ore durante le quali i Rangers incursori, un battaglione del King's Royal Rifle Corps attestato in posizione avanzata, si erano ritirati per errore lasciando scoperto il fianco dell'artiglieria controcarro, i tedeschi catturarono cinque cannoni e accerchiarono gli australiani. Le mitragliatrici aprirono il fuoco da tre lati mentre la fanteria tedesca appoggiata dai carri armati avanzava frontalmente su tutta la linea. Gli australiani scoprirono che i loro fucili controcarro Boyes, erano assolutamente inefficienti. Nonostante tutti i tentativi di organizzare un arretramento ordinato il battaglione cominciò a disintegrarsi molti uomini gettarono le armi e in certi casi la decisione fu presa deliberatamente dagli ufficiali i quali sapevano che l'unica possibilità di scampo consisteva nella speditezza della marcia e nella copertura offerta dal terreno collinoso. Per quanto male fosse andata avevano evitato il peggio, infatti, i tedeschi avrebbero potuto travolgere tutta la posizione se le batterie dell'artiglieria a cavallo non avessero continuato a sparare allo scoperto con i cannoni da 25 libbre contro i carri armati tedeschi anche dopo essere rimaste prive della copertura della fanteria fintanto che i carri armati e i reparti di fanteria tedeschi arrivarono a meno di 400 m dallo schieramento e soltanto allora ripiegarono ordinatamente portando al seguito, e furono gli unici, tutti i pezzi.
Il passo era stato tenuto quasi tre giorni, fino alla notte del 12 aprile, ma il prezzo era stato elevato. Tutti e tre i battaglioni di fanteria erano gravemente danneggiati; l'artiglieria australiana aveva perduto 20 cannoni, il reggimento carri armati pesanti aveva soltanto 10 carri ancora funzionanti su 52. I tedeschi avevano fatto moltissimi prigionieri, solo 50 uomini del battaglione australiano che aveva buttato le armi erano riusciti a sfuggire attraversando le colline. Nel frattempo i tedeschi stavano ottenendo una serie di successi travolgenti nella zona di Salonicco nonostante la strenua resistenza degli scarsi difensori dei forti di confine che respinsero ripetutamente gli assalti dei carri armati appoggiati dall'artiglieria e dai bombardieri in picchiata ma alla fine gli attaccanti sfondarono sicché al pericolo che incombeva al centro si aggiunse la minaccia di un'avanzata lungo la costa greca orientale.
Durante questa fase sul fianco destro alleato fra le nevi dell'alto passo di Véroia si trovavano la 16ª brigata australiana e due brigate neozelandesi la 4ª e la 6ª che avevano impiegato un mese per scavare un lungo e profondo fossato anticarro attraverso la pianura antistante il monte Olimpo. La fanteria greca che le appoggiava era stata dislocata più in alto sulle cime e i neozelandesi avevano dovuto estendere il loro sottile schieramento sui 24 km di fronte. Il reggimento della 2ª divisione neozelandese attestato su una linea più avanzata dotato di autoblindo e veicoli cingolati Brencarrier doveva sostenere il primo urto dei tedeschi, ritardarne la penetrazione e ritirarsi. Ma dopo il crollo iugoslavo e la caduta di Salonicco il generale Wilson giudicò impossibile tenere una linea difensiva cosi lunga e che la sola possibilità di protrarre la resistenza consisteva in una ritirata sulle Termopili 160 km più indietro. La condizione indispensabile per garantire un ripiegamento ordinato era di aver le spalle coperte da una solida retroguardia che avrebbe dovuto mantenere aperto un varco finché tutti i reparti fossero passati e quindi dopo averlo chiuso trattenere il nemico per tutto il tempo necessario che un'altra retroguardia prendesse posizione più avanti.
L'8 aprile i neozelandesi ebbero l'ordine di abbandonare il fosso anticarro e di ritirarsi sui passi del monte Olimpo, gli australiani sul passo Véroia dovettero arretrare di 48 km per attestarsi sul passo Sérvia dovettero arrampicarsi sulla catena dei monti Imathia alti 1.800 m. scendere dal versante opposto nella valle dell'Aliacmo attraversare il fiume quindi compiere una seconda scalata di 1.800 m sulla catena dei monti della Piéria al di là della valle. Per superare da nord il monte Olimpo vi sono tre strade: a ovest il passo di Sérvia, che era affidato alla difesa degli australiani rinforzati da un piccolo reparto di neozelandesi; attraverso il centro della catena il passo principale dell'Olimpo dove si doveva attestare la fanteria neozelandese; infine a est il punto in cui la linea ferroviaria correva fra le montagne e la costa e dove c'era la lunga galleria di Platamon, che fu rapidamente minata. Vi restò a guardia un solo battaglione con il compito di trattenere il più a lungo possibile i tedeschi di far brillare quindi le cariche per ostruire la strada ferrata e infine di ritirarsi unendosi alla retroguardia più vicina. Il problema più urgente era rappresentato dalla necessità di togliere dalla linea la fanteria che aveva combattuto al passo di Vévi fintanto che la pressione tedesca non si era fatta insostenibile. Le riserve di carri armati e di cannoni controcarro furono mandate a sud della cittadina di Ptolemais, una trentina di chilometri più indietro, per formare una retroguardia nel punto in cui la strada principale per il sud attraversava un fosso e poi correva lungo un fiume fra due serie di alture costituendo un'imboscata naturale. La responsabilità della retroguardia era stata affidata al 4° ussari rinforzato da uno squadrone del 3° reggimento carri da due batterie di cannoni controcarro del reggimento ussari Northumberland, da due compagnie di Rangers e dall'artiglieria a cavallo ancora indenne con i suoi preziosi cannoni da 25 libbre.
Il 4° ussari non aveva fatto in tempo a venire impiegato prima del crollo francese e aveva in dotazione carri armati leggeri da ricognizione del tipo prebellico, Mark VI B che pesavano solo 5 t ed erano armati di due mitragliatrici. Un'altra retroguardia temporanea che era stata stabilita lungo un crinale circa 13 km a sud di Vévi trattenne con i carri armati e l'artiglieria i tedeschi fino a metà mattina del 13 aprile dopo che gli ultimi gruppi di fanteria si furono ritirati. Questi ultimi raggiunsero e superarono la retroguardia principale nel corso del pomeriggio e quando le pattuglie di punta degli inseguitori furono in vista, l'artiglieria ripiegò dopo aver effettuato un tiro di sbarramento, seguita dai carri armati che attraversarono la barriera difensiva costituita da quelli del 4° ussari, che attesero ulteriormente per assicurarsi che non vi fossero ritardatari. Alle 19 la fanteria britannica che effettuava il ripiegamento transitò sana e salva da Kozáni, poco più di 26 km a sud, e la retroguardia cominciò a disimpegnarsi. Ma i carri armati tedeschi erano riusciti ad aggirare la difesa sulla destra. La squadra dei carri armati del 3° reggimento carri si era attestata a Ptolemais, e i suoi pezzi da 47 mm rinforzati dagli ussari del Northutmberland e dall'artiglieria a cavallo che sparò a puntamento diretto distrussero 15 carri armati tedeschr. Il bollettino di guerra germanico, riferendosi all'azione, asserì che Ptolemais era difesa da una divisione corazzata britannica.
Nonostante l'ammirevole resistenza il 15 aprile la brigata corazzata tra feriti e guasti meccanici aveva perduto quasi la metà dei propri effettivi il 3° reggimento carri era ridotto a una compagnia di 13 carri armati; gli ussari del Northumberland avevano perduto la metà dei loro cannoni controcarro; i Rangers lamentavano quasi il cinquanta per cento dei feriti e soltanto l'artiglieria a cavallo aveva conservato le proprie forze praticamente intatte.
Con la 9ª Panzerdivision che premeva inesorabilmente e con la Luftwaffe padrona dell'aria solo il continuo arretramento poteva salvare il corpo di spedizione britannico dall'annientamento totale. Durante gli undici giorni che seguirono, dal 14 al 25 aprile, la I', brigata corazzata non fece altro che ritirarsi, sottoposta ai bombardamenti di giorno, marciando la notte, su e giù per le montagne abbandonando via via i carri armati che si guastavano (tutti quelli del 3° reggimento carri e 38 carri leggeri del 4° ussari). Da Salonicco le armate germaniche attraversarono la valle dell'Aliacmo puntando verso il monte Olimpo. Il reggimento di cavalleria neozelandese, ritardò il passaggio in qualche punto poi, il 10 aprile, si ritirò sulla nuova linea difensiva. Non appena si lasciarono alle spalle il valico principale dell'Olimpo i neozelandesi fecero esplodere le cariche da mine e tonnellate di roccia rotolarono in basso ostruendo la strada e fermando i tedeschi al centro. Sul versante dalla parte del mare il battaglione di fanteria neozelandese aveva tentato di minare la galleria ferroviaria di Platamon, ma la roccia era troppo dura, tuttavia avevano sistemato le cariche esplosive alla maggior profondità possibile. Il 14 aprile, verso sera, le pattuglie avanzate riferirono che circa 300 veicoli tedeschi, fra cui 80 carri armati, si stavano avvicinando, il grosso delle truppe della difesa abbandonò la galleria e fecero detonare le cariche, ma l'esplosione aveva scalfito superficialmente una parete e i detriti ostruivano solo in parte la massicciata. I neozelandesi si ritirarono ulteriormente, dopo poche ore il primo carro armato tedesco sbucò dall'uscita meridionale ma si ritirò sotto il fuoco della fucileria e delle mitragliatrici. Durante la notte gli uomini in attesa scavarono buche più profonde per le armi, i serventi risistemarono i loro cannoni da 25 libbre e il battaglione apprestò come meglio poteva una nuova linea difensiva che i tedeschi cominciarono a cannoneggiare all'alba, mentre formazioni serrate di fanteria e di carri armati attraverso la galleria ne erano passati circa 150 muovevano all'attacco della posizione. Molti carri armati rimasero scingolati sugli angusti sentieri sassosi, bloccando la strada agli altri, sicché inizialmente il numero non rappresentò un vantaggio. I neozelandesi tennero la posizione tutto il 15 aprile e il giorno seguente, nonostante l'accresciuta violenza degli attacchi, ma alla fine la preponderanza delle forze ebbe la meglio e i difensori dovettero ritirarsi per stabilire un'altra linea difensiva pochi chilometri più indietro.
I tedeschi non riuscirono a irrompere né dal passo principale al centro né da quello di Sérvia uno dei due valichi secondari che costeggia le montagne interne. Sul passo principale la 2ª Panzerdivision si fermò sotto il tiro di sbarramento tutta la giornata del 14 aprile e per circa trentasei ore non compi altri tentativi di rilievo. Poi all'alba del 16 i tedeschi si presentarono in forze, un " gruppo di combattimento " formato da fanteria artiglieria cannoni controcarro compagnie di mortai cannoni contraerei e carri armati, ma furono costretti ancora una volta a fermarsi subendo gravi perdite. Più tardi tentarono di accerchiare la posizione lungo sentieri di montagna però furono respinti violentemente in tutti i punti. I tedeschi chiesero rinforzi, ma il 17 aprile, i difensori, avendo svolto il loro compito, di ritardare l'avanzata tedesca, si ritirarono. I tedeschi ritenevano in base a informazioni errate, che il terzo passo, quello di Sérvia fosse difeso debolmente e siccome la corrente dell'Aliacmo era troppo forte perché i carri armati e i veicoli da combattimento la potessero passare a guado, mandarono avanti solo due compagnie di fanteria austriache. I neozelandesi in attesa prepararono un'imboscata: li lasciarono avanzare poi ne uccisero 21, ne ferirono 37 e ne catturarono 168, vale a dire quasi tutti. Dal passo di Sérvia gli artiglieri inglesi potevano osservare distintamente il corso dell'Aliacmo e i tedeschi a ogni tentativo di attraversarlo si trovavano esposti al loro tiro d'interdizione. Il colonnello tedesco avendo avuto l'ordine di portarsi " a tutti i costi " sull'altra riva guidò personalmente i suoi uomini, attraversando il fiume a nuoto nella parte più profonda, ma tutto si rivelò inutile perché gli artiglieri dell'ANZAC (corpo d'armata australiano e neozelandese) tennero il nemico inchiodato a valle per tutta la giornata del 15 aprile.
L'ANZAC era stato ricostituito ufficialmente proprio durante quei giorni in cui australiani e neozelandesi lottavano fianco a fianco, ventisei anni dopo Gallipoli e la loro resistenza indusse i tedeschi ad abbandonare l'idea di forzare il valico e a mandare invece carri armati e reparti di fanteria più a ovest affinché lo aggirassero. Ma la notte dal 17 al 18 aprile quando il grosso del corpo di spedizione si era ormai ritirato a sud, a notevole distanza, i difensori di Sérvia ripiegarono anch'essi.
Poiché tutti si riversavano sulle Termopili, l'unica strada principale che non era mai stata in condizioni eccellenti e adesso era sottoposta all'ininterrotto transito dei veicoli pesanti e al martellamento dei bombardieri in picchiata fu ridotta in tali condizioni che il traffico assunse il ritmo di una passeggiata. La costante presenza della Luftwaffe e fini col logorare i nervi di molti conducenti, l'esaurimento la demoralizzazione e gli ingorghi indescrivibili del traffico che in certi momenti crearono un groviglio inestricabile lungo 16 km contribuirono ad accrescere il caos. Gli artiglieri dell'artiglieria contraerea facevano quello che potevano ma erano pochi contro centinaia di bombardieri in picchiata della 4ª Luftflotte e dell'VIII Fliegerkorps.
I tedeschi incalzavano senza tregua sperando di penetrare rapidamente per raggiungere le truppe in ritirata e obbligarle ad accettare il combattimento che ne avrebbe segnato l'annientamento completo. Ma le piccole retroguardie invertivano la direzione di marcia e combattevano ai guadi dei fiumi e nelle gole dove i tedeschi erano costretti a procedere in fila riuscendo a volte a bloccarli con pochi fanti e un unico cannone. Si ritiravano all'ultimo momento coperti da un altro gruppetto ugualmente esiguo; altre volte invece procrastinavano troppo la ritirata e restavano tagliati fuori dalle demolizioni stradali che era giocoforza provocare dietro di loro.
Dal 18 aprile in avanti la storia della campagna di Grecia fu fatta di combattimenti di retroguardie che si opponevano all'avanzata tedesca quel tanto necessario da consentire al grosso delle unità di ritirarsi finché non restò più un lembo di territorio su cui ritirarsi e non vi fu altra scelta se non combattere una battaglia irrimediabilmente perduta o rassegnarsi all'evacuazione.
Una serie di piccoli disastri contribuì a provocare una catastrofe ben più grave e il crollo della Iugoslavia e la conseguente penetrazione del nemico incuneatosi fra l'armata greca in Albania e le forze anglo greche, la resa dell'armata dell'est la disintegrazione di quella del centro, il suicidio del presidente del consiglio greco tutto concorse a far si che la disfatta fosse totale. Il 19 aprile il generale Wavell aveva promesso al re di Grecia che gli inglesi sarebbero rimasti e avrebbero continuato a combattere al fianco dei greci. Due giorni dopo il generale Papagos disse al sovrano che protrarre la resistenza significava condannare la Grecia alla distruzione completa e consigliò l'immediato ritiro del corpo di spedizione britannico.
L'impresa si presentava irta di difficoltà e originariamente furono preventivati nove giorni per portarla a compimento. Poi, dato il peggioramento della situazione militare fu necessario ridurli a cinque, La Mediterranean Fleet che rientrava dal bombardamento di Tripoli sarebbe arrivata ad Alessandria soltanto un giorno prima dell'inizio dell'evacuazione e Alessandria si trovava a 600 miglia dalla Grecia. Perciò furono raccolte navi di piccola stazza da ogni parte in cui fu possibile trovarne, e venne messa insieme una squadra di sette incrociatori venti caccia, diciannove piroscafi per il trasporto di truppe e due battelli da sbarco della fanteria unitamente ai propri reparti potenziati. Ma mentre nella precedente evacuazione via mare, a Dunkerque, la RAF possedeva il dominio dell'aria, adesso era invece dei tedeschi, bombardieri tedeschi avevano già affondato un cacciatorpediniere greco due navi ospedale e venti mercantili nelle acque del Pireo e le conclusioni erano ovvie. Era necessario effettuare l'operazione più a sud possibile per esempio a Kaláme a Monemva sia e a Návplion (Nauplia) sulle coste de Peloponneso meridionale che avevano inoltre il vantaggio di essere assai più vicine a Creta, dove avevano deciso di sbarcare temporaneamente gli uomini affinché le navi potessero tornare indietro al più presto per raccoglierne altri.
Il piano esigeva che tutte le basi logistiche venissero trasferite dalla zona di Atene al Peloponneso in modo che le truppe combattenti le potessero a loro volta raggiungere, i primi a partire sarebbero stati i feriti i convalescenti e le infermiere quindi i reparti combattenti. Le formazioni si sarebbero spostate durante la notte sparpagliate su una vasta zona mentre durante il giorno avrebbero sostato nascondendosi per sfuggire all'attenzione dei bombardieri in picchiata. Quindi la notte successiva dovevano distruggere i veicoli e le artiglierie ammesso che ne avessero, e dirigersi alla spiaggia portando le armi personali e i materiali importanti di piccole dimensioni come gli strumenti di mira dei cannoni. Le navi avrebbero accostato entro un'ora dopo il tramonto e imbarcato quanti più uomini possibile ma regolando le operazioni in modo da non differire assolutamente la partenza oltre le 3 del mattino per essere matematicamente certi di trovarsi al largo allo spuntare dell'alba. Occorreva tempo per tutto questo, questo significava che l'ultima azione della retroguardia doveva essere effettuata alle Termopili.
L'ultima resistenza alle Termopili
Termopili un nome che evoca il ricordo dell'esigua schiera di spartani guidati da Leonida che vi morirono per evitare che gli invasori persiani guidati da Serse dilagassero in tutta la Grecia. Sono però passati 2.500 anni da allora e le Termopili non sono più la strozzatura che consentiva il passaggio a una sola biga da combattimento per volta perché col tempo il mare si è ritirato lasciando un'ampia distesa acquitrinosa larga poco meno di 5 km. Per di più a pochi chilometri verso l'interno passa la strada di grande traffico che supera l'alto valico montuoso di Brállos la cui difesa sarebbe stata affidata agli australiani, mentre la divisione neozelandese e una parte della la brigata corazzata avrebbero difeso quello di Mólos.
Gli ultimi dieci carri armati del 4° ussari gli unici degli alleati rimasti in Grecia vi giunsero insieme con sette autoblindo che avevano coperto la retroguardia della la brigata corazzata durante tutto il ripiegamento superando quattro montagne raccogliendo sbandati e rallentando la marcia per assicurarsi che tutti i ponti che si lasciavano alle spalle fossero saltati Oltre alle Termopili era necessario mantenere il possesso di tutto il Peloponneso, perché sulle sue rive doveva prendere imbarco il grosso del corpo di spedizione. I carri armati e quelli da ricognizione del 4<1 ussari furono incaricati di proteggere un'ottantina di chilometri di costa da eventuali sbarchi nemici assicurando il transito d'importanza vitale sul ponte di Corinto poiché vi dovevano passare quasi tutte le forze britanniche. Un altro pericolo era rappresentato dalla possibilità di un lancio di truppe paracadutate, specie sulla pianura retrostante alle Termopili e il 3° reggimento carri, rimasto senza un solo carro armato, vi fu dislocato in funzione antiparacadutisti.
L'inizio dell'evacuazione era stato fissato per la sera del 24 aprile il che significava che le unità di base dovevano attraversare il ponte di Corinto prima di questa data per lasciare il posto alle truppe combattenti. Perciò le Termopili dovevano essere difese da tutte le forze disponibili soltanto fino al 23 aprile quando i reparti destinati a imbarcarsi la sera successiva avrebbero dovuto cominciare a dirigersi verso la costa. Gli inglesi si aspettavano che i tedeschi sferrassero il primo attacco già il 20 aprile vale a dire quando la posizione non sarebbe ancora stata completamente approntata invece con loro grande sorpresa non comparvero. I tedeschi nella rapida avanzata avevano perso contatto con le colonne dei rifornimenti e dovettero fare una sosta di quattro giorni per ristabilirlo. Il ritardo probabilmente fu determinante agli effetti di tutta la campagna dato che l'evacuazione come si seppe più tardi evitò il disastro per una differenza di poche ore; ma nel frattempo i difensori delle Termopili poterono riposare schierare i cannoni e apprestare le difese. Il 22 aprile artiglieri australiani aprirono il fuoco dal passo di Brállos, l'artiglieria tedesca di medio calibro rispose e altri cannoni australiani si unirono al coro, intervennero i cannoni campali di grosso calibro e si sviluppò una battaglia di artiglieria in piena regola durante la quale gli inglesi respinsero un attacco della fanteria tedesca. Intanto il corpo di spedizione si stava raccogliendo e si dirigeva verso la costa e il 23 aprile le file dei difensori delle Termopili si diradarono. Una delle tre brigate neozelandesi la 5ª distrusse tutti i cannoni e l'equipaggiamento e non appena si fece buio si diresse verso il punto fissato per l'imbarco. La 4ª brigata venne mandata indietro di una decina di chilometri per formare l'ultima retroguardia all'altezza di Tebe. Il vecchio passo di Mólos sulle Termopili restò difeso dalla 6ª brigata neozelandese oltre che da pochi ussari del Northumberland e dall'artiglieria a cavallo. Gli australiani che presidiavano Brállos rimasero anch'essi sul posto con una metà degli effettivi
Alle 7.30 del 24 aprile primo giorno dell'evacuazione, l'attacco alle Termopili, atteso da tempo, incominciò con il tiro dell'artiglieria pesante e con bombardamenti in picchiata, il passo di Brállos fu attaccato per primo da un gruppo misto formato di carri armati cannoni d'assalto motociclisti fanti e cannoni contraerei che furono accolti dal fuoco delle mitragliatrici e dell'artiglieria australiane e incorsero evidentemente nell'errore di ritenere fortemente munito il passo di Brállos e debolmente difeso quello di Mólos. Il generale Stumme modificò il piano di attacco e lanciò tutte le sue forze contro i neozelandesi. Lo spostamento richiese parecchie ore e da metà pomeriggio fino a sera a Mólos si combatté aspramente con forti perdite da tutt'e due le parti. Però i tedeschi non riuscirono ad aprirsi un varco
Allora i tedeschi tentarono di sfondare la posizione con un assalto massiccio di carri armati una manovra che altre volte era riuscita. L'artiglieria neozelandese e quella a cavallo e gli ussari del Northumberland trascorsero tutta la giornata del 24 aprile postando pezzi, ammassando munizioni e sparando continuamente paghi di sfruttare l'occasione che avevano atteso e i risultati furono più che soddisfacenti. Il poderoso attacco tedesco s'infranse mentre era in pieno svolgimento, più tardi la stessa sera gli artiglieri resero inservibili i cannoni asportando gli otturatori e si ritirarono passando silenziosamente attraverso l'ultima retroguardia. Tutto il giorno successivo si tennero nascosti per sfuggire alla Luftwaffe e la sera raggiunsero la costa.
L'ultima retroguardia si trovava sopra un crinale che dominava uno stretto valico 11 km a sud di Tebe e circa 56 km a nord di Atene. Era una buona posizione difensiva presidiata da unità neozelandesi australiane e britanniche della forza complessiva di una brigata. L'ordine principale era di non farsi scoprire troppo presto e per questo le artiglierie erano state mimetizzate e le comunicazioni radio sospese. I difensori delle Termopili attraversarono questa posizione la notte del 24 aprile per portarsi ai punti d'imbarco ma i tedeschi comparvero soltanto la mattina del 26, alle 11, in una lunga fila di veicoli stipati di uomini che offrivano un bersaglio infallibile agli artiglieri in attesa. Il tiro ebbe effetti micidiali e ancora una volta l'avanzata tedesca fu stroncata.
Quella sera l'ultima retroguardia si ritirò oltre Atene fino al piccolo porto di Ráfti dove circa 5.000 soldati si erano già imbarcati senza incidenti. Verso le 20 gli artiglieri britannici resero inservibili i cannoni da campagna, scaricarono i radiatori e misero in moto i motori dei veicoli finché si bloccarono per il surriscaldamento oppure li frantumarono a martellate. Quindi l'ultima retroguardia si ritirò.
Lo stesso giorno della battaglia delle Termopili il generale Papagos si dimise, l'esercito greco capitolò, il re parti per l'esilio, il quartier generale dell'ANZAC fu sciolto e i comandi australiani e neozelandesi ebbero l'ordine di abbandonare la Grecia. Il generale Wilson rimase in Atene fino all'ultimo momento e arrivò al ponte di Corinto il 26 aprile, poco prima dell'alba. L'evacuazione era proceduta bene fino allora: la 51, brigata neozelandese che era stata allontanata dalle Termopili, si era imbarcata la notte del 24 aprile con tutti i suoi effettivi, quasi 7.000 unità. Il giorno seguente era partita circa la metà degli australiani. In due notti erano stati evacuati complessivamente più di 18.000 uomini ma ne rimanevano ancora circa 40.000.
La zona del ponte sul canale di Corinto era naturalmente. la più minacciata. Tuttavia da quel momento il suo presidio si ridusse a soli tre carri armati e a un piccolo reparto di fanti australiani (Erano presenti anche molti soldati greci, ma per loro la guerra era finita.) Poche ore dopo che il generale Wilson e il suo stato maggiore avevano varcato il ponte un attacco aereo mise a tacere tutti i cannoni controcarro. Subito dopo apparvero gli Junkers 52, a volo radente e l'aria fu punteggiata di paracadute. Mentre un migliaio di paracadutisti scendevano, alcuni alianti atterrarono vicino al ponte, gli occupanti balzarono fuori, sopraffecero i picchetti di guardia e deposero rapidamente un certo numero di cariche esplosive che scoppiarono subito dopo, uccidendoli tutti. La causa dell'esplosione è tuttora controversa. Quando le cariche esplosero due ufficiali inglesi vi stavano sparando contro con i loro fucili e indubbiamente credettero che fosse stata opera loro. Ma una pallottola di fucile avrebbe potuto provocare la deflagrazione soltanto se si fosse trattato di fulmicotone e gli esperti affermarono che il fulmicotone non avrebbe potuto avere una simile azione dirompente. I tedeschi ritennero che le cariche fossero esplose mentre gli inglesi le stavano disinnescando frettolosamente oppure che una certa quantità di tritolo fosse stata colpita da una scheggia di granata però in quel momento nessun cannone stava sparando. La spiegazione più verosimile, a meno che non vengano in luce altre prove, è che lo scoppio sia stato provocato veramente dai due ufficiali.
A sud del canale l'enorme superiorità numerica dei tedeschi costrinse i pochi difensori superstiti a desistere dall'azione ma non prima di aver messo fuori combattimento 285 uomini, fra morti e feriti del 2° reggimento paracadutisti. Ciononostante si trattò di una netta vittoria dei tedeschi che il 26 aprile entrarono trionfalmente in Corinto scortati da un carro armato che avevano catturato. L'occupazione del canale di Corinto significò che la 4ª brigata neozelandese alcune unità della la brigata corazzata e i fucilieri australiani che formavano la retroguardia di Tebe non potevano più imbarcarsi sulle coste del Peloponneso e quindi dovevano essere avviati altrove. Dopo la partenza di Wilson il comando era stato assunto dal generale Freyberg che si trovava però nel Peloponneso senza poter comunicare per radio con il gruppo attestato a Tebe. Ma nel porto di Rafina, a est di Atene e distante circa 120 km si trovava il comando della la brigata corazzata, che disponeva di un potente impianto radiotrasmittente e che poté inviare un messaggio alla retroguardia, con l'ordine di ritirarsi sulla costa vicino alla capitale. Dal momento dell'occupazione tedesca di Corinto fino all'evacuazione dell'ultimo contingente del corpo di spedizione trascorsero quasi tre giorni, durante i quali fu possibile imbarcare altri 30.000 uomini, in parte inglesi in parte australiani, sia per merito dell'organizzazione e della disciplina degli inglesi, sia perché i tedeschi non seppero sfruttare le vittorie.
Conclusioni
I tedeschi avevano scoperto che la posizione delle Termopili era rimasta indifesa fin dalla mezzanotte del 24 aprile però trascorsero altri due giorni e mezzo prima che raggiungessero la retroguardia di Tebe e nel frattempo le operazioni d'imbarco erano state completate. A Corinto dopo la conquista del ponte arrivarono dalle Termopili truppe fresche; il Leibstandarte Adolf Hitler vi giunse dalla Grecia occidentale attraversando il canale a bordo di piccole imbarcazioni dalle quali scese a Patrasso per dilagare in tutto il Peloponneso, dove si trovavano ancora considerevoli forze del corpo di spedizione. Però i tedeschi non s'impegnarono risolutamente per impedirne l'imbarco. L'arma più attiva fu la Luftwaffe, che bombardò in picchiata e mitragliò tutti i punti delle coste meridionali sui quali avvistava movimenti e affondò un buon numero di navi. La notte del 26 aprile il trasporto olandese Slamat stava imbarcando un contingente di truppe a Návplion (Nauplia), ma le operazioni andarono per le lunghe; alle 3 quando fu dato il segnale di salpare, la nave era completa solo per due terzi e il comandante non ebbe il coraggio di lasciarne tanti a terra. Indugiò, malgrado i ripetuti ordini fino alle 4.15 poi si allontanò a tutta forza. Ma alle 7 lo Slantat che si trovava ancora nel raggio d'azione dei bombardieri tedeschi, venne affondato. I cacciatorpediniere Diamond e Wryneck invertirono la rotta per raccogliere i naufraghi, però invertirono la rotta anche i bombardieri e colarono a picco i due caccia, i sopravvissuti di tutte e tre le navi furono soltanto cinquanta.
La notte del 27 aprile più di 21.000 uomini del corpo di spedizione britannico furono tratti in salvo da cinque diversi punti d'imbarco e la notte successiva altri 5.000 della 6ª brigata neozelandese s'imbarcarono dall'estrema punta meridionale del Peloponneso. L'unico gruppo numeroso non ancora evacuato era composto di circa 7.000 uomini, in attesa nella baia di Kaláme dalla quale erano già stati portati in salvo più di 8.000 dei loro compagni Ma ormai era il 28 aprile e il Peloponneso era occupato dalla divisione Leibstandarte Adolf Hitler e dalla 5ª Panzerdivision, la cui pattuglia avanzata sopraffece un piccolo posto di guardia del 4o ussari irruppe in Kaláme e catturò l'ufficiale di marina preposto alle operazioni d'imbarco e il suo segnalatore tagliando cosi le comunicazioni con le navi che stavano accostando.
I 7.000 soldati inglesi che si trovavano a Kaláme non erano preparati a sostenere un combattimento. Soltanto 800 appartenevano ai reparti combattenti, gli altri erano della unità dei servizi. Il combattimento di Kaláme fu una lotta feroce con un centinaio di perdite dall'una e dall'altra parte e si concluse incredibilmente con la resa dei tedeschi superstiti sicché gli inglesi ripresero a sperare nella salvezza. Una divisione di due incrociatori e sei cacciatorpediniere si stava avvicinando alla baia durante il combattimento. Il tenente di vascello dell'Hero il cacciatorpediniere di testa scese a terra per scoprire cosa stesse accadendo ma il comandante della divisione alla vista dei proiettili traccianti e al rumore degli spari pensò logicamente che il numero degli uomini da portare in salvo doveva essere ormai cosi esiguo da non giustificare il rischio al quale avrebbe esposto le navi, Perciò ordinò il macchina indietro e non mutò avviso neppure quando il tenente gli segnalò circa quaranta minuti più tardi, che la sparatoria era cessata e l'evacuazione era possibile. Comunque fosse più di 7.000 uomini alcuni dei quali avevano combattuto per due settimane con le retroguardie scendendo dai monti della Grecia del nord fino all'estremo lembo meridionale furono lasciati a terra.
Per la seconda volta in un anno l'esercito britannico era stato estromesso dal continente. Sebbene l'80 per cento degli uomini fosse stato portato in salvo le perdite erano state gravi: 12.000 uomini (una metà abbondante apparteneva al Regno Unito), inclusi i 900 morti fra cui più di 600 dell'ANZAC e i 1.200 feriti (oltre 900 dell'ANZAC) .
La RAF aveva perduto 72 apparecchi e 137 erano stati distrutti al suolo. La marina aveva perduto due cacciatorpediniere e quattro navi trasporto; altre 21 navi erano state affondate; l'esercito aveva dovuto abbandonare quasi tutto l'armamento e i veicoli: 104 carri armati 400 cannoni 1.800 mitragliatrici e 8.000 veicoli.
Militarmente la decisione di aiutare la Grecia si era conclusa con un disastro. Politicamente alcuni vantaggi avevano bilanciato il colpo, l'opinione pubblica statunitense che sarebbe stata ostile alla Gran Bretagna se non si fosse mossa in soccorso della Grecia si allarmò alla notizia dell'invasione tedesca e si gettò con tutto il proprio peso dalla parte degli alleati. Il Congresso approvò la legge affitti e prestiti che diede inizio agli aiuti americani d'importanza determinante.