L'invasione delle Filippine
Lo stato maggiore generale imperiale nipponico era sicuro di poter conquistare le Filippine con poche difficoltà — cosi sicuro che non destinò all’impresa nemmeno l’intero contingente della sua 14ª armata. Inizialmente i fatti sembrarono dar ragione ai giapponesi: gli sbarchi incontrarono infatti scarsa resistenza, e le truppe avanzarono rapidamente contro un nemico male addestrato ed equipaggiato. Ma l'assedio di Bataan, dove gli alleati avevano deciso di opporre resistenza, malattie e fame che assillarono assedianti ed assediati, fecero si che la vittoria giapponese fu ritardata di tre mesi, fino a quando gli invasori poterono far affluire nuovi rinforzi.
Il 22 luglio 1941, con il consenso del governo di Vichy, il Giappone occupò basi aeree e navali nell’Indocina sudorientale, e per contrastare la minaccia le forze armate delle Filippine furono incorporate in quelle degli Stati Uniti.
Lo stesso giorno, il 26 luglio — il dipartimento di guerra americano istituì un nuovo comando: quello delle forze statunitensi dell'Estremo Oriente (USAFFE) con base a Manila, al comando del generale Douglas MacArthur, richiamato in servizio attivo.
Il primo dicembre 1941 le truppe inquadrate dal’USAFFE comprendevano dieci divisioni di fanteria, cinque unità di artiglieria da costa, due reggimenti di artiglieria da campagna e un reggimento di cavalleria montato dotato di alcuni veicoli blindati da esplorazione. Le truppe scelte erano rappresentate dagli esploratori — personale accuratamente addestrato appartenente ai reggimenti di cavalleria e di artiglieria — e dal XLV battaglione. Sull'isola di Luzon vi erano due gruppi d'armate, la forza nord e la forza sud.
Delle due, la forza nord, al comando del maggior generale Jonathan M. Wainwright era la più forte: comprendeva le divisioni di fanteria 11ª, 21ª, 31ª e 71ª, il reggimento di cavalleria, il XLV battaglione e tre gruppi di artiglieria da campagna. La forza sud, comandata dal generale di brigata George M. Parker era dislocata nella zona situata grosso modo a sud e ad est di Manila e consisteva in due divisioni di fanteria e in un gruppo di artiglieria da campagna. La difesa del resto dell'arcipelago era affidata alla forza Visayan Mindanao, al comando del generale di brigata William F.Sharp. Questa forza consisteva in tre divisioni di fanteria e la divisione filippina incorporata nell'esercito statunitense, era collocata fra la forza nord e la forza sud di Luzon. La difesa dell’ingresso alla baia di Manila e alla baia di Subic era imperniata su cinque isolotti fortificati e sulle loro guarnigioni, al comando del generale Moore.
Il maggior generale Brereton comandava l'aviazione statunitense nelle Filippine, cui fu dato il nome di aviazione dell'estremo Oriente. Gli aerei di più utile impiego in dotazione a Brereton erano i B17 (fortezze volanti) della 19a divisione bombardieri del tenente colonnello Eubank. Tutti i gruppi da caccia della 24a divisione da inseguimento, salvo uno, erano muniti dei moderni P40 (Kittyhawk) al comando del generale di brigata aerea Clagett.
Entro un raggio di 130 km da Manila si trovavano sei aeroporti adatti ai caccia e uno solo — il campo d’aviazione Clark — adatto ai bombardieri pesanti; e benché vi fossero nelle isole sette installazioni radar, soltanto due erano funzionanti ai primi di dicembre. Un sistema improvvisato di sorveglianza aerea comunicava, facendo uso delle reti e apparecchiature telefoniche e telegrafiche civili, con il comando intercettori del campo d'aviazione Nielson, alla periferia di Manila.
I due reggimenti di artiglieria contraerea da costa proteggevano i B17 del campo d'aviazione Clark e la città di Manila con cannoni da 76 mm e da 37 mm, con mitragliatrici da 12,7 mm e con riflettori con specchio del diametro di 152 mm.
La marina statunitense nelle Filippine era di base a Cavite, sulla costa meridionale della baia di Manila. La squadra navale, al comando dell'ammiraglio Thomas C. Hart,consisteva nell’incrociatore pesante Houston, in due incrociatori leggeri, in 13 vecchi cacciatorpediniere, 29 sommergibili, 6 cannoniere, 7 motosiluranti, in naviglio vario una formazione aerea di 32 Catalina.
Malgrado l’insufficiente addestramento impartito alla fanteria, malgrado la scarsità di attrezzature di allarme aereo e la mancanza di aeroporti, sia a Washington sia nelle Filippine si era ottimisti sulla possibilità che la guarnigione potesse opporre adeguata resistenza a un attacco giapponese.
Lo stato maggiore generale imperiale giapponese, d’altro canto, era assolutamente sicuro che la sua 14ª armata avrebbe conquistato le Filippine in meno di tre mesi, e che l’isola di Luzon sarebbe caduta nelle sue mani entro 50 giorni. Il suo piano si basava su una conoscenza particolareggiata delle forze americane e filippine — del loro armamento ed equipaggiamento del livello di addestramento e della loro dislocazione. I giapponesi erano così sicuri che, invece di impiegare l’intera 14ª armata, misero a disposizione del suo comandante, il generale Homma, soltanto due divisioni, la 16ª e la 48ª, appoggiate da due reggimenti carri, due reggimenti di fanteria, un battaglione di artiglieria di medio calibro, cinque battaglioni contraerei e varie unità dei servizi. La 5ª divisione aerea dell’esercito e l'11ª divisione aerea della marina, dovevano fornire 500 fra caccia e bombardieri per l'invasione.
A Formosa il 1° dicembre il generale Homma ricevette le direttive definitive dal comando dell’armata meridionale: le operazioni dovevano incominciare la mattina dell’8 dicembre (ora di Tokyo). Le forze aeree dovevano dare inizio all’attacco — concertato in modo da coincidere con l’inizio dell'ostilità contro la Malesia — subito dopo la effettuazione dell’incursione aerea contro la flotta americana a Pearl Harbor. La 3ª squadra navale della marina giapponese, al comando dell'ammiraglio Takahashi, venne organizzata in numerose task forces (gruppi operativi) con compiti specifici, comprendenti navi trasporto e unità anfibie appoggiate da incrociatori e cacciatorpediniere. Una forza d’appoggio di tre incrociatori avrebbe protetto gli sbarchi più importanti. Gli aviatori della 5ª divisione aerea preparavano i loro bombardieri Betty e i caccia Zero. Intorno alla mezzanotte del 7 dicembre, una fitta nebbia calò sugli aeroporti, impedendo il decollo previsto per l’alba. I comandanti giapponesi erano pieni di nervosismo, poiché si rendevano conto che gli americani nell’isola di Luzon avrebbero avuto notizia dell’incursione su Pearl Harbor e avrebbero potuto attaccare gli aerei dislocati nei campi d’aviazione di Formosa con i B17 della forza aerea dell’Estremo Oriente. Le speranze di un attacco di sorpresa erano venute meno.
« Incursione aerea su Pearl Harbor. Questa non è un’esercitazione. »
Questo il messaggio inviato dalle Hawaii alle ore 8 e ricevuto dal comando della marina statunitense a Manila, dove era ancora notte(erano le 2.30). Un ufficiale dei marines passò il messaggio all’ammiraglio Hart, che avvertì immediatamente la squadra navale. Il generale MacArthur non fu avvertito dalla marina, ma seppe dell’attacco dalla trasmissione effettuata da una stazione radio commerciale poco dopo le ore 8,30. Ordinò alle truppe di recarsi alle previste posizioni di combattimento. Allo scoppio delle ostilità, l’unica persona in grado di prendere provvedimenti era il generale Brereton che si trovava al campo d'aviazione Clark, ma anche lui seppe la notizia. soltanto da una trasmissione radio commerciale, ed erano ormai le cinque quando riuscì finalmente a raggiungere l’ufficio di MacArthur per chiedere l'autorizzazione di attaccare Formosa.
Ammonito da una telefonata del generale Arnold, dagli Stati Uniti, a non lasciarsi sorprendere con gli ‘aerei a terra perché non facessero la stessa fine delle navi ancorate a Pearl Harbor, Brereton mandò i bombardieri pesanti in pattugliamento ma senza bombe.
Finalmente, alle ore 10.45 furono impartite direttive perché due gruppi di B17 attaccassero gli aeroporti della parte meridionale di Formosa e i bombardieri inviati in pattugliamento furono fatti tornare al campo d'aviazione Clark per fare il carico di bombe e rifornirsi di carburante.
Entro le 12.15 i bombardieri e i caccia del 20° gruppo da inseguimento erano allineati all'aeroporto Clark, pronti per il decollo.
Su Formosa, la nebbia si era diradata abbastanza entro l’alba da permettere a 25 bombardieri dell'esercito giapponese di decollare per Luzon. Alle 9.30 essi sorvolarono il nord di Luzon e attaccarono caserme ed altre installazioni a Tuguegarao e a Baguio, senza venir intercettati da caccia americani. Entro le 10.15 la nebbia si era ulteriormente diradata, e gli aerei dell’11a divisione aerea della marina poterono decollare.
Complessivi 108 bombardieri, scortati da 84 caccia arrivarono sopra il campo d’aviazione Clark alle 12.15 del tutto inaspettati e colsero i bombardieri e i caccia statunitensi, con i serbatoi pieni di carburante, perfettamente allineati, pronti ad essere distrutti.
Mentre le granate contraeree esplodevano da 600 a 1.200 metri al di sotto della loro quota di volo, due squadriglie di 27 bombardieri colpivano con precisione aerei, aviorimesse, caserme e magazzini, appiccando incendi che si estesero alla vegetazione intorno all’aeroporto.
La zona fu ben presto un mare di fiamme, fumo e distruzioni, e per più di un'ora. i caccia Zero colpirono con raffiche i B17 e i P40 immobilizzati a terra. Al campo d’aviazione Iba, base dei caccia, un’altra divisione di 54 bombardieri giapponesi, scortata da 50 caccia, distrusse caserme, magazzini e la stazione radar.
Poi i piloti degli Zero incontrarono dei P40 del 3° gruppo d’inseguimento statunitense in manovra di atterraggio a Iba furono tutti abbattuti meno due. Nelle prime ore di guerra nelle Filippine gli aviatori giapponesi avevano dunque ottenuto un successo al di là di ogni aspettativa.
Con la perdita di soli 7 aerei Zero, avevano distrutto 17 B17, 56 caccia, circa 30 aerei di tipo diverso e ne avevano danneggiati molti altri, mentre installazioni importanti erano state fatte saltare o incendiate, e 230 uomini erano stati uccisi o feriti. Quel pomeriggio, la forza: aerea statunitense dell’Estremo Oriente aveva cessato di rappresentare un serio pericolo per i giapponesi.
È dubbio se, anche nel caso in cui la forza aerea dell'Estremo Oriente non fosse andata distrutta nel primo giorno di guerra, essa avrebbe potuto sopravvivere a lungo, e anche se i bombardieri avessero eseguito un'incursione su Formosa, resta a vedere quanti di essi sarebbero tornati dopo essersi scontrati con sciami di Zero. Le perdite al campo d’aviazione Clark sarebbero state meno rilevanti, se vi fosse stato un preavviso sufficiente; ma non vi fu preavviso.
Il campo d’aviazione Nielson era stato avvertito dell'avvicinarsi dei giapponesi, ma i due gruppi che decollarono si occuparono della protezione di Manila e di Bataan, mentre il campo d’aviazione Clark veniva distrutto. Il giorno dopo i giapponesi continuarono nella loro tattica iniziale di distruzione delle forze aeree e navali, attaccando il campo d'aviazione Nichols per colpire aerei e installazioni. Il giorno seguente, 10 dicembre, nella zona della baia di Manila fu effettuato un attacco della durata di due ore contro il campo d’aviazione Del Carmen vicino a Clark, contro i campi d’aviazione Nichols e Nielson vicino a Manila, e contro la base navale di Cavite a sud della città. A Cavite l’intera zona: portuale era in fiamme dopo che la prima ondata di 27 bombardieri aveva sganciato le sue bombe nella zona degli obiettivi. Officine di riparazione, magazzini, la centrale elettrica, caserme, dispensario e la stazione radio ricevettero colpi in pieno. Le perdite ammontarono a circa 500 uomini. Il sommergibile Sealion fu colpito e un deposito di oltre 200 siluri andò perduto.
Per fortuna circa 40 navi mercantili presenti nella baia rimasero indenni e poterono poi allontanarsi dall’isola. In conseguenza dell’incursione, l'ammiraglio Hart ordinò la partenza di due cacciatorpediniere,tre cannoniere, navi ausiliarie e dragamine,con l’intenzione di continuare operazioni aeree e sottomarine «il più a lungo possibile ».
L’11 dicembre fu una giornata tranquilla, perché la nebbia era scesa nuovamente su Formosa, ma il giorno seguente più di 100 fra bombardieri e caccia sciamarono sopra Luzon, attaccando tutti gli obiettivi prefissati senza molto timore di rappresaglie: ormai agli americani restavano mendi 30 aerei efficienti. Sette BY furono seguiti mentre ritornavano da un pattugliamento e furono abbattuti mentre si avvicinavano per atterrare sulla baia. Il giorno seguente fu fatta una nuova incursione conquisa 200 aerei. Il 14 dicembre l'ammiragliato inviò i PBY rimasti al sicuro al sud; il 17 dicembre i B17 non danneggiati furono inviati a Port Darwin, a 2.000 km di distanza, nell’Australia settentrionale. Oramai la forza aerea dell'Estremo Oriente aveva cessato di esistere come potenziale di combattimento. Salvo pochi caccia rattoppati alla meglio, l’esercito era rimasto senza appoggio aereo e la marina era costretta a fare assegnamento soprattutto sui sommergibili, per la difesa di migliaia di chilometri di spiagge dagli sbarchi nemici,già incominciati sulla costa settentrionale di Luzon.
Il primo sbarco giapponese in territorio filippino fu effettuato sulla piccola isola di Batan, pressappoco a metà del canale che separa Formosa da Luzon. Questo fu uno dei sei sbarchi iniziali predisposti per la 14ª armata degenerale Homma — gli altri erano quelli di Aparri, di Vigan (sulla costa nord e sulla costa nordovest di Luzon), di Legaspi (vicino alla punta meridionale di Luzon),di Davao sull’isola di Mindanao e dell'isola di Jolo, fra Mindanao e il Borneo.
Gli obiettivi da conquistare per primi erano i campi d’aviazione, che dovevano servire come base ai caccia per l'appoggio aereo agli sbarchi principali che sarebbero seguiti. La conquista della base di Legasi avrebbe consentito di minacciare l’afflusso dei rinforzi americani provenienti dal sud, e gli sbarchi a Davao e sull’isola di Jolo avevano il compito di assicurare ai giapponesi basi avanzate per una successiva spinta verso sud contro le Indie olandesi. I giapponesi affrontarono un rischio calcolato nell’usare forze piuttosto ridotte per questi primi sbarchi — la formazione più numerosa consisteva in un solo reggimento. Sull’isola di Batan un’unità navale di combattimento di 490 uomini sbarcò senza incontrare resistenza all’alba dell’8 dicembre. Due giorni più tardi fu occupata l’isola di Camiguin, per assicurare una base agli idrovolanti a circa 35 miglia da Aparri. Con il cauto appoggio di forze aeronavali, la forza Tanaka (che prendeva il nome dal comandante del 2° reggimento di Formosa) si avvicinò senza essere individuata e fece sbarcare 2.000 uomini ad Aparri e a Gonzaga, 32 chilometri più avanti. Il rimanente del reggimento (un battaglione e mezzo) designato come distaccamento Kanno, sbarcava contemporaneamente vicino a Vigan, all’alba del 10 dicembre. Qui però i giapponesi non ebbero la consueta fortuna: un P40 in missione di pattuglia diede l’allarme alla forza aerea Dell'estremo Oriente; i bombardieri pesanti statunitensi che ancora rimanevano attaccarono, con l'appoggio di aerei da caccia, il convoglio degli invasori nella zona di sbarco. La cortina difensiva costituita dagli aerei da caccia giapponesi non riuscì a contenere gli attacchi, e due navi trasporto furono danneggiate e dovettero essere fatte arenare. Ma, malgrado il mare in tempesta e l’incursione aerea, lo sbarco riuscì, ed entro la sera seguente un piccolo distaccamento si era già spinto 80 chilometri a nord lungo la costa per occupare la città e l'aeroporto di Laoag. Ora che erano stati occupati tre aeroporti e dal momento che non vi erano segni di contrattacco, i comandanti giapponesi decisero di spostare l’intero reggimento lungo la costa occidentale perché si congiungesse con il grosso delle forze della 14ª armata che doveva sbarcare sulle spiagge del golfo di Lingayen. Vi fu qualche ritardo dovuto alle riparazioni che si dovevano fare ai ponti,e una scaramuccia con truppe filippine a Bacnotan; il reggimento del colonnello Tanaka arrivò poche ore dopo che gli sbarchi principali erano incominciati. Il III battaglione del 12° reggimento dell’esercito delle Filippine si trovava nel distretto di Aparri Gonzaga e si ritirò rapidamente verso sud, lungo la valle di Cagayan, senza opporre nessuna resistenza. Entro la sera del 12 dicembre l’aeroporto di Tuguegarao (80 chilometri all’interno) era stato perduto; non ci fu resistenza da parte dell’esercito filippino a Vigan, e le truppe americane e filippine più vicine si trovavano a Legaspi — a 210 chilometri di distanza.
Nella parte meridionale di Luzon, il generale Jones ordinò la demolizione di ponti stradali e ferroviari e la preparazione di avamposti per la difesa. Alle ore 4 del 20 dicembre i giapponesi sbarcarono a Davao. Una squadra di mitraglieri del 101° reggimento inflisse gravi perdite finché non fu ridotta al silenzio da un colpo in pieno sparato da un cannone navale giapponese.
Nove bombardieri provenienti dal campo d’aviazione Batchelor, vicino a Port Darwin, tentarono un’incursione di sorpresa sulla forza giapponese riunita per l’invasione di Jolo, ma la visibilità era scarsa e nessuna bomba colpì in pieno gli obiettivi. Jolo cadde il giorno di Natale. Entro due settimane i gruppi del generale Homma che avevano effettuato gli sbarchi iniziali avevano occupato gli aeroporti nella zona settentrionale e in quella meridionale di Luzon, a Mindanao e a Jolo.
L’aviazione giapponese aveva quasi spento la resistenza alleata, e il grosso delle truppe d’invasione fu trasportato con tranquillità alle spiagge di Lingayen. Qui l’aliquota maggiore della 14ª armata di Homma cominciò a sbarcare alle ore 5 del 22 dicembre. La 48a divisione, il 9° reggimento di fanteria, quattro reggimenti di artiglieria con cannoni da 75, da 105 e da 150 mm e con obici da 150mm, due reggimenti carri con circa 80/100 carri e un gran numero di truppe dei servizi e specializzate furono fatti sbarcare sulla costa settentrionale del golfo di Lingayen. Ma il mare agitato, un attacco da parte dei B17 di base a Port Darwin e il cannoneggiamento da parte di due cannoni da 155 mm fecero passare ai giapponesi qualche brutto momento.
Lungo l’arco dei 30 chilometri della striscia di sbarco principale giapponese correva la strada di grande comunicazione n.3, percorribile con qualsiasi tempo, e facente parte della rete stradale che portava a Manila. A sud delle spiagge scelte per lo sbarco e fra il golfo e la baia di Manila, si trovava la pianura centrale di Luzon, una zona pianeggiante di terreni agricoli disboscati, con molti paesetti e cittadine. Qui — e sulle spiagge — i giapponesi si aspettavano di trovare il grosso delle forze dei difensori americani e filippini. Tuttavia la sola resistenza opposta sulle spiagge fu quella di Bauang, dove una mitragliatrice da 12,7 mm inflisse gravi perdite agli invasori, fino a quando i giapponesi riuscirono a stabilire una testa di ponte. Allora i difensori si ritirarono. Ilcolonnello Tanaka mandò un battaglione ad occupare l’aeroporto di Naguilian, e ad Agoo — all'estremità meridionale del fronte di sbarco — il 47° reggimento, coll'appoggio dell’artiglieria, fece una puntata nell’entroterra fino a Rosario, mentre il 48° reggimento da ricognizione e il 4° reggimento carri sbarcavano e mettevano in fuga un battaglione di fanteria filippina. Causa le condizioni sfavorevoli allo sbarco dovute al mare grosso il generale Homma sospese le operazioni di scarico e di sbarco nel pomeriggio, e durante la notte spostò le sue navi trasporto più a sud,fino a un punto al largo di Damortis; il resto della forza di Lingayen era così pronto per sbarcare il giorno seguente, il 23 dicembre.
Nella zona meridionale di Luzon, la 16a divisione, incompleta, del generale Morioka,che aveva una forza di 7.000 uomini, sbarcò a Siain e ad Atimonan, sulla stretta striscia di terra fra la baia Tayabas e la baia di Lamon, e a Mauban, più a nord. Quando scese la sera del 24 dicembre lo sbarco era ormai stato completato, e la sola effettiva resistenza si ebbe da parte di truppe regolari filippine a Mauban. cacciabombardieri dell'esercito di limitata autonomia e aerei provenienti dalla nave porta idrovolanti Mîzuho fornirono costante e massiccio appoggio alle truppe giapponesi che, al cader della notte, dominavano l'istmo della penisola. I giapponesi, ritardati soltanto da una robusta azione il 24 dicembre, si erano impadroniti dei loro obiettivi iniziali e tenevano saldamente in pugno la parte settentrionale di Luzon.
Ormai erano in grado di marciare verso sud su Manila, lungo le ampie strade di grande comunicazione della pianura centrale. Restava da prendere soltanto la strada che portava alla capitale da sud. MacArthur sapeva che le sue difese in quella zona erano deboli. Gli occorrevano rinforzi e contava che il convoglio di sette navi, sotto la scorta dell'incrociatore Pensacola gli portasse uomini, aeroplani e rifornimenti. Ma il convoglio non giunse nemmeno ad affrontare la barriera giapponese di navi da guerra e aeroplani; inoltre la richiesta di MacArthur che gli fossero inviati in volo gli aerei delle portaerei fu respinta dalla marina, ormai così allarmata per i pericoli della situazione da far evacuare persino i sommergibili. Siluranti, dragamine, cannoniere e rimorchiatori erano tutto quel che restava della forza navale della baia di Manila.
I marines e i marinai a terra passarono sotto il comando dell’esercito,e così pure quello che restava dell’aviazione, mentre i pochi caccia rimasero nei loro nascondigli. Sgomentato dall’incapacità dell'esercito delle Filippine di resistere ai giapponesi, il generale MacArthur annunciò il 23 dicembre il suo piano per l'evacuazione a Bataan.
Intendeva dichiarare Manila città aperta, dopo aver trasferito il suo comando nell’isola fortificata di Corregidor, e le grandi quantità di munizioni e di carburanti che erano già state immagazzinate nella penisola di Bataan furono ora accresciute, mentre piccole chiatte e motolance portavano nuovi rifornimenti da Manila a Corregidor e a Bataan. Il giorno di Natale del 1941, giorno in cui MacArthur si trasferì a Corregidor, la linea principale di difesa andava dalle vicinanze di Binalonan, dove la cavalleria aveva opposto efficace resistenza, lungo l'altra riva del fiume Agno e oltre Carmen, fino ai contrafforti dei monti Zambales.
La fanteria del generale Tsuchibashi e i carri armati attaccarono il centro della linea difensiva, attraversarono ben presto Villasis e passarono oltre il fiume per occupare Carmen entro la serata del 26 dicembre. Ora che controllava la strada principale, Tsuchibashi costrinse gli americani a servirsi della ferrovia per evacuare il resto della 11a divisione; le truppe di Tsuchibashi si spostarono allora velocemente lungo la strada 3 per intercettare il treno a Moncada, ma un blocco stradale costituito da tre carri armati e da un semicingolato da 75 mm li fece ritardare, e la fanteria delle Filippine riuscì a passare.
Dopo che gli americani si furono ritirati dalla terza alla quarta delle loro linee di difesa, che si estendeva per 60 chilometri di pianura dai contrafforti di una catena di montagne all’altra, la 48a divisione giapponese riuscì a rompere il fronte a Cabanatuan, e sia l’11a che la 21a divisione delle Filippine furono costrette ad un’altra ritirata. Azioni di fuoco aggressive da parte dell'artiglieria delle Filippine riuscirono a rallentare l’avanzata giapponese, ma il 31 dicembre le truppe del generale Homma erano a 50 chilometri da Manila.
Una volta che l’esercito filippino fosse stato costretto a ripiegare su Bataan, il generale Homma era convinto che la campagna sarebbe giunta a una rapida e felice conclusione. Contro la linea di Porac, Homma mandò il 9° reggimento, che penetrò entro di essa per 1.800 metri, il 2 gennaio. Il mattino dopo, il distaccamento di Takahashi, con l’appoggio di cannoni da 105 mm, non trovò difficoltà a superare l'opposizione della fanteria, ma il fuoco travolgente dell’artiglieria filippina impedì al distaccamento di Takahashi di mettere in rotta l'avversario. Sul fianco protetto dai terreni paludosi la avanzata giapponese fu effettuata seguendola strada di grande comunicazione, dove i combattimenti erano continui e confusi, sostenuti da artigliera e fanteria con l'uso saltuario di carri armati da entrambe le parti.
I difensori continuavano a ritirarsi, e giapponesi a inseguirli, disturbando la fanteria in ritirata con azioni di fuoco di artiglieria e di armi leggere. Poi, il tiro preciso di alcuni carri armati che formavano un blocco stradale sulla rotabile che collegava Lubao a Sexmoan, disperse alcune delle colonne giapponesi. Quella notte l’attacco fu rinnovato attraverso un campo pianeggiante al chiarore di una luna molto luminosa, e ancora una volta i cannoni americani respinsero i giapponesi; i ripetuti tentativi di questi ultimi non fecero che accrescere il già rilevante numero delle loro perdite. La conseguenza dei duri colpi ricevuti fu che il rapido inseguimento giapponese rallentò e si trasformò in caute puntate esplorative, mentre gli americani e i filippini attraversavano il ponte di Culo al nodo stradale di Layac in una congestionata confusione di veicoli, cannoni e truppe. Ancora una volta l'aviazione giapponese trascurò quello che appariva un bersaglio inevitabile, e il ponte di Culo fu distrutto dopo che le truppe in ritirata l’avevano attraversato, MacArthur si rendeva conto che il successo dei giapponesi era dovuto soprattutto alla loro superiorità aerea e navale, è benché insistesse presso i suoi superiori per uno sforzo alleato nel Pacifico (il primo passo avrebbe dovuto essere lo sbarco di un corpo d’armata a Mindanao) — egli dovette accettare il fatto che un’azione di appoggio era virtualmente impossibile. Egli fissò la sua linea difensiva attraverso la montagnosa penisola di Bataan e si preparò alla resistenza finale. La principale linea difensiva su Bataan si estendeva dai ripidi declivi della montagna settentrionale, il monte Santa Rosa, fino al mare, da una parte e dall’altra. Wainwright aveva tre divisioni rinforzate, la cavalleria e l’appoggio dell’artiglieria nel suo I corpo d'armata sul fianco sinistro, e sul fianco destro Parker aveva quattro divisioni più un reggimento della divisione filippina. 14 chilometri più a sud correva, con lo stesso andamento, la linea difensiva arretrata, servita dalla strada Pilar Bagac. A preparare questa linea per la difesa finale era intenta la riserva dell’USAFFE — il resto della divisione filippina, il gruppo carristi, e un gruppo di cannoni semoventi da 75 mm. L'artiglieria del corpo d’armata dell’USAFFE era schierata in modo da proteggere le linee difensive oltre che le difese costiere in tutti i settori. Vi erano ora a Bataan circa 80.000 soldati e vi si erano pure rifugiati 26.000 civili. Le provviste di viveri e di carburante per gli automezzi erano fatte in modo da bastare a 43.000 uomini per un periodo di sei mesi. Ora i viveri sarebbero bastati soltanto per poche settimane. Non vi erano zanzariere e la scarsità di chinino si faceva già sentire nell’aumento del numero di malati di malaria ricoverati in ospedale. Alcuni aerei da caccia erano ancora in grado di funzionare e i genieri preparavano gli aeroporti per essi, oltre ad aiutare la fanteria e l'artiglieria a scavare trincee. L'esercito delle Filippine era pronto, per quanto potesse esserlo in quelle circostanze, per sostenere l’attacco del generale Homma.
Alle ore 15 del 9 gennaio cominciò uno sbarramento nutrito di artiglieria contro il II corpo d’armata. I cannoni della difesa risposero efficacemente all’attacco della fanteria. Il II battaglione attraversò il fiume Calaguiman e riuscì a mettersi al coperto in una piantagione di canne da zucchero prima della mezzanotte; là si trovava a soli 140 metri dal III battaglione nemico. Mentre era ancora buio, i giapponesi aprirono il fuoco con l’artiglieria e i mortai; poi si precipitarono fuori del campo di canne e mossero all’assalto affrontando l’intenso fuoco nemico. Il mattino seguente, l’11 gennaio, due o trecento giapponesi giacevano morti sul campo, mentre gli esploratori dell’esercito delle Filippine, che erano stati fatti accorrere dalla riserva, erano quasi di ritorno alla loro linea originaria. Il 9° reggimento del colonnello Takechi mosse contro il fianco sinistro del generale Parker per aggirare gli americani, mentre veniva mantenuta la pressione all’altra estremità della linea. L’avanzata fu ridottissima, ed entrambe le parti subirono gravi perdite; tuttavia la pressione fu nuovamente mantenuta il giorno seguente, quando il II battaglione attaccò il 43° reggimento. Il fuoco dell’artiglieria contribuì ad impedire ai giapponesi di guadagnar terreno, ma i combattimenti del giorno seguente assicurarono loro il possesso di una collina situata fra due reggimenti dell’esercito delle Filippine.
Qui un contrattacco colse di sorpresa i giapponesi e un reggimento dell’esercito filippino si spinse tanto avanti nelle loro linee che i giapponesi si trovarono quasi nella possibilità di circondarli. Attaccate su tre lati, le truppe filippine si ritirarono in disordine nelle retrovie. Dall'altra parte della penisola, gli attacchi giapponesi contro il I corpo d’armata di Wainwright riuscirono a respingerlo fino alla linea principale di difesa, dove i combattimenti si fecero intensi. Cominciati il 18 gennaio, si protrassero fino al 25, con gravi perdite da entrambe le parti.
Una delle divisioni di Wainwright fu costretta a fuggire lungo la costa, senza fucili e in completo disordine. Le malattie e la mancanza di viveri cominciavano a tormentare i difensori, mentre la pressione giapponese li costringeva a una ritirata generale, che cominciò il 23 gennaio. In un ardito tentativo di aprire un fronte dietro le linee principali di difesa e di distogliere così dal fronte principale la fanteria e l'artiglieria, due battaglioni giapponesi sbarcarono in due punti vicino a Mariveles, sulla punta di Bataan. Contenuti dapprima sul terreno accidentato da una forza mista di avieri, marinai e truppe dei servizi, i due battaglioni furono distrutti dopo tre settimane di duri combattimenti. Ma gli uomini del generale Homma andarono incontro ad altri guai, quando cominciarono a premere sull’ultima barricata —la linea Orion Bagac. Il tiro preciso dell’artiglieria americana, che sparava da postazioni soprelevate, faceva pagar cari gli attacchi; tuttavia essi riuscirono in più punti a penetrare entro la linea difensiva arretrata che per la sua estensione era poco profonda. il generale Nara e il generale Kimura riuscirono tutti e due a costituire profonde punte di penetrazione che vennero poi consolidate. Ma questi forti salienti vennero poi gradualmente logorati dai lunghi ed accaniti combattimenti su quel terreno accidentato.
Entro la fine di febbraio la 14ª armata giapponese aveva perduto 7.000 uomini, di cui 2.700 morti, mentre da dieci a dodicimila uomini erano malati di dissenteria, beriberi e varie malattie tropicali. Homma poteva sì e no mettere in campo tre battaglioni effettivi: se l’esercito delle Filippine avesse scatenato un’offensiva in quel momento, avrebbe potuto riconquistare Manila. Invece scese la bonaccia sulla terra di nessuno; squadre e plotoni pattugliavano la zona fra le linee, il generale Homma era in attesa dei rinforzi, e i generali americani si preparavano a resistere all'offensiva finale. A Washington, l’8 febbraio, il dipartimento di guerra ricevette un dispaccio sorprendente dal presidente delle Filippine, Manuel Quezon, che proponeva che gli Stati Uniti concedessero immediatamente l’indipendenza alle Filippine, che le isole fossero rese neutrali, che le forze americane e giapponesi si ritirassero e che l’esercito delle Filippine fosse sciolto.
Contemporaneamente il generale MacArthur mandò al capo di stato maggiore, generale Marshall, un dispaccio in appoggio alle proposte del presidente Quezon, spiegando che la guarnigione delle Filippine aveva subito perdite del 50 %. Il presidente Roosevelt respinse il progetto d insistendo che la lotta doveva continuare. Autorizzò MacArthur a far arrendere, se necessario, le truppe filippine, ma vietò la resa delle truppe americane. Nel frattempo l’America e i suoi alleati del Pacifico si erano accordati per affidare a MacArthur il comando di un nuovo comando del Pacifico sudoccidentale. Da tempo MacArthur aveva fatto sapere a Marshall che egli intendeva« combattere fino alla distruzione » sull'isola di Corregidor. MacArthur accettò il trasferimento propostogli in ossequio all'ordine del presidente e per le insistenze degli ufficiali del suo stato maggiore. Partì da Bataan in un momento in cui i combattimenti avevano raggiunto un punto morto.
Con lui partirono per Mindanao su quattro motosiluranti sua moglie e suo figlio, la bambinaia del bimbo, l'ammiraglio Rockwell, il generale dell’aviazione George e altri 14 componenti dello stato maggiore. A Mindanao furono accolti dal generale Sharp che li condusse all’aeroporto Del Monte. Nelle prime ore del mattino del 12 marzo l'intero gruppo partì a bordo di B17 e alle ore 9 atterrò a Port Darwin. Nella prima dichiarazione pubblica rilasciata dopo il suo arrivo in Australia, MacArthur disse che la liberazione delle Filippine era il suo principale obiettivo. Il generale Wainwright fu nominato nuovo comandante delle forze delle Filippine,ed egli scelse il generale King come comandante delle forze di Luzon nella penisola di Bataan. Qui il problema più urgente era quello del vettovagliamento: mulini per il riso mondavano il riso; pescatori filippini pescavano con le reti; cavalli, muli, maiali, polli, cani, scimmie, serpenti e iguana venivano macellati; tutto ciò che vi era di commestibile sulla penisola veniva raccolto — tuttavia, il rancio delle truppe diventava sempre più magro. L’insufficienza di vitamine provocò il diffondersi di beriberi, scorbuto e dissenteria amebica, mentre febbri malariche e denga si diffusero con disastrosa rapidità. Prima di partire, MacArthur aveva consigliato a Wainwright: « Riversategli addosso tutto quello che avete di artiglieria. È l'arma migliore che abbiate ». Ma il venerdì santo, 3 aprile furono i cannoni del generale Homma, ad aprire l’offensiva finale. La 16 divisione e la 65a brigata di Homma avevano ricevuto rinforzi di truppe fresche — la 4a divisione era arrivata da Sciangai e anche un distaccamento composto di fanteria, di artiglieria e di genieri era giunto a Bataan. Circa 60 bombardieri erano stati fatti affluire in volo al campo d'aviazione Clark per un attacco coordinato di artiglieria e aviazione contro l’intera linea difensiva americana. L’obiettivo iniziale era il monte Samat, un’altura di 600 metri situata dietro il centro della linea difensiva tenuta dell'esercito filippino, estendentesi attraverso tutta la penisola, da una costa all'altra. Il 3 aprile cominciò il bombardamento. Per cinque ore i cannoni, i mortai e gli obici giapponesi martellarono le truppe stanche e malate che difendevano gli ultimi chilometri di Bataan. Più di 60 tonnellate di bombe furono lanciate sulla linea davanti al monte Samat. Al calar della sera gli uomini della 65a brigata e della 4a divisione erano riusciti ad avanzare di un migliaio di metri; il martellamento di granate e di bombe aveva reso l’avanzata molto più facile di quanto Homma si aspettasse,così egli ripeté lo schema di combattimento il giorno seguente, dando alla sua fanteria la direttiva di continuare l’attacco senza darsi pensiero di consolidare i vantaggi acquisiti in precedenza. Le azioni di bombardamento da parte della 22a brigata aerea furono particolarmente efficaci il giorno 4 aprile.
Per puro caso le bombe caddero su due battaglioni, il XLII e il XLIII che si ritirarono precipitosamente quattro chilometri a sud, lasciando così aperto il centro della linea alla 65a brigata giapponese, che penetrò profondamente dietro il monte Samat e lanciò forze fresche contro il fianco del II corpo d’armata.
All’alba del 7 aprile i giapponesi avevano ormai costituito un saliente di 6 km e mezzo al centro della linea difensiva e dominavano le alture dei declivi settentrionali dei monti Mariveles. Il generale King progettava di sferrare un contrattacco per fermare l'offensiva giapponese. La 45a brigata, con l'appoggio di pochi carri, attaccò la punta del saliente sui declivi dei Mariveles. Ma il tentativo non aveva alcuna probabilità di riuscita: non c’erano azioni fiancheggianti per appoggiare la brigata, e i reparti cominciarono a disintegrarsi. Unità intere sparivano nella giungla, le comunicazioni cessarono di funzionare, e strade e sentieri furono ben presto ingombrati dagli sbandati. Il bombardamento aereo e d’artiglieria giapponese continuava sull’intero fronte, aumentando d’intensità ogni volta che L'avversario faceva un tentativo di resistenza. Con la ritirata del II corpo d’armata, il I corpo d’armata rimase esposto agli attacchi sui fianchi e dovette pure ritirarsi. Il generale Wainwright comprese che soltanto un attacco da parte del I corpo d'armata contro la 6a° brigata e la 4a divisione giapponesi avrebbe potuto fermare la rotta. Ne fece la proposta al generale King,ma il comandante di Luzon rifiutò di diramare quest’ordine, perché non aveva ormai che un esercito disorganizzato, sconfitto, decimato e malato, che sarebbe stato inutilmente mandato al macello, pezzo per pezzo, se non si fosse arreso. Fu dunque sua la decisione che mise fine ai combattimenti sulla penisola di Bataan.Il 9 aprile egli mandò due parlamentari con bandiera bianca a conferire con il comandante giapponese. Quella notte i depositi di munizioni furono fatti saltare e circa 2.000 persone infermieri, personale dell’esercito e della marina statunitensi, alcuni esploratori di cavalleria e altri soldati dell’esercito delle Filippine fuggirono a Corregidor su piccole imbarcazioni e chiatte.
Nella penisola di Bataan, 78.000 uomini dell'esercito malconcio ed affamato caddero prigionieri. I conquistatori coronarono la loro vittoria costringendo i prigionieri a una« marcia della morte » da Mariveles a San Fernando. Con razioni irrisorie di viveri e di acqua, i prigionieri furono costretti a camminare per 100 km sotto un sole martellante, e molti di loro vennero bastonati o uccisi a colpi di baionetta lungo la strada.
Ora il generale Homma poteva prepararsi all'assedio di Corregidor, la « Gibilterra dell'Oriente » — e quindi impossessarsi della baia di Manila e chiedere la capitolazione di tutte le Filippine