Operazioni Navali nel Mediterraneo Sett. 1940 Mar. 1941
Dopo la caduta della Francia, la Gran Bretagna controllava le due estremità del Mediterraneo con forze navali che avevano le basi a Gibilterra e ad Alessandria. L'Italia dominava il settore centrale con le basi navali di Messina e Palermo in Sicilia, di Taranto e Napoli nel sud della penisola e di Bengasi e Tripoli sulla costa dell'Africa Settentrionale. Il naviglio pesante della squadra navale britannica aveva un piccolo vantaggio su quello italiano essendo formato da sette corazzate e due portaerei mentre gli italiani possedevano sei corazzate e disponevano esclusivamente di basi aeree terrestri; però essi potevano opporre 21 incrociatori agli otto inglesi 50 cacciatorpediniere e altrettante torpediniere ai 37 cacciatorpediniere inglesi e oltre 100 sommergibili agli 8 dell'avversario. Per quanto riguarda il rapporto delle forze aeree nel settore mediterraneo gli italiani avevano a disposizione circa 2000 aerei, gli inglesi circa 200, comunque qualunque fosse la superiorità navale raggiunta ad un certo momento dagli inglesi il loro vantaggio era annullato da un fattore strategico determinante: gli italiani occupavano il Mediterraneo centrale.
Il Canale di Sicilia è largo 166 km, ma nella parte compresa fra la Sicilia e l'isola di Pantelleria il fondale è basso e pericoloso se minato e Pantelleria dista solo 55 km da Capo Bon in Tunisia. Questo stretto canale poteva essere pattugliato facilmente dagli aerei aventi basi terrestri, dai sommergibili e dai cacciatorpediniere e rimaneva l'unica via di comunicazione fra le squadre navali inglesi del Mediterraneo orientale e occidentale, perciò l'Ammiragliato britannico doveva scegliere fra due soluzioni: concentrare permanentemente le due squadre in uno solo dei due settori oppure mantenerle sempre divise. Il concentramento nel settore orientale avrebbe significato l'abbandono di Gibilterra e di conseguenza, il libero accesso all'Atlantico per le navi da guerra italiane. Se le due squadre inglesi fossero state concentrate nel Mediterraneo occidentale la Gran Bretagna avrebbe dovuto rinunziare al transito attraverso il canale di Suez al Medio Oriente al Mar Rosso e alle comunicazioni sicure con l'India e l'Australia. Quindi era innegabile la necessità di mantenere separati i due settori, quindi bisognava accettare lo svantaggio rappresentato dal fatto di non poter concentrare, all'occasione, le navi da guerra per una determinata azione mentre la squadra italiana poteva essere impiegata al completo contro l'una o l'altra delle due squadre avversarie.
La squadra dislocata a oriente designata come Mediterranean Fleet era alle dirette dipendenze dell'ammiraglio comandante in capo sir Andrew Cunningham ed era formata da tre corazzate Warspite, Malaya e Ramillies dalla portaerei Eagle dall'incrociatore pesante Kent, dagli incrociatori leggeri Orion, Sydney, Gloucester, Liverpool e Neptune e da 20 cacciatorpediniere al comando dell'ammiraglio Cunningham. La squadra occidentale con base a Gibilterra denominata Forza H, riceveva gli ordini direttamente dall'Ammiragliato, ma siccome operava soprattutto nel Mediterraneo gran parte delle sue azioni rientrava nell'azione di comando dell'ammiraglio Cunningham, ed era al comando del viceammiraglio sir James Somerville. La forza navale comprendeva l'incrociatore da battaglia Renown la corazzata Resolution la portaerei Ark Royal, gli incrociatori Sheffield e Enterprise nonché un certo numero di cacciatorpediniere variabile secondo le circostanze, ma comunque mai inferiore a diciassette. Oltre alla responsabilità di assicurare la difesa e l'approvvigionamento delle guarnigioni inglesi in Egitto in Palestina, a Cipro e a Malta, alla fine del 1940 la Mediterranean Fleet aveva il compito potenziale di mantenere attive le rotte con la Grecia e la Turchia, il compito immediato consisteva nel dimostrare ai due paesi che la Gran Bretagna era pronta a intervenire in loro aiuto nel caso di un'aggressione italiana o tedesca. Questa era la ragione che rendeva così importante la base britannica di Malta.
Le linee di comunicazioni italiane potevano essere colpite solo sulle rotte marittime fra l'Italia e l'Africa e le forze attaccanti non potevano avere altra base che Malta. Se Malta fosse caduta, o anche se fosse stata soltanto paralizzata, gli italiani avrebbero avuto la possibilità di far giungere in Africa tutti i rinforzi di cui necessitavano. Quindi l'operazione navale progettata per la fine dell'agosto 1940 aveva logicamente un duplice scopo: rinforzare la Mediterranean Fleet con la Valiant, la corazzata rimodernata, con la portaerei Illustrious e con gli incrociatori contraerei Coventry e Calcutta oltre a rinforzare e rifornire Malta. La Valiant, l'Illustrious e gli incrociatori contraerei lasciarono Gibilterra il 30 agosto, appoggiati dalla Forza H. Parecchie navi erano dotate di radar e potevano dirigere gli attacchi dei caccia delle due portaerei per intercettare gli aerei nemici anche se invisibili. Le incursioni aeree italiane contro la squadra non furono coronate dal successo; per contro fu annunziato l'abbattimento di parecchi aerei italiani rivelati dallo schermo del radar. L'operazione era stata predisposta in modo che i rinforzi attraversassero il Canale di Sicilia nella notte fra il lº e il 2 settembre. Il lº settembre prima del crepuscolo l'intera squadra cambiò rotta dirigendo verso Napoli. Dopo che fu calata l'oscurità la Forza H tornò indietro dirigendo a Gibilterra, mentre la Valiant l'Illustrious e i due incrociatori contraerei puntarono verso il Canale di Sicilia e la mattina seguente s'incontrarono a sud di Malta, come convenuto, con le unità della Mediterranean Fleet.
Questa squadra composta dalle navi da battaglia Warspite e Malaya dalla portaerei Eagle da due incrociatori e da nove caccia torpediniere era partita due giorni prima da Alessandria per scortare un convoglio formato da due navi mercantili e da una nave cisterna. Poco dopo si era aggiunta una divisione distaccata composta di tre incrociatori e nove cacciatorpediniere. Lo stesso giorno più tardi la squadra italiana fu segnalata mentre dirigeva verso il convoglio ma si ritirò senza dar battaglia e la mattina seguente fu avvistata nei pressi di Taranto. In quest'occasione le forze dei due avversari erano quasi pari: entrambi avevano due navi da battaglia, gli italiani disponevano di un maggior numero d'incrociatori ma avevano un numero inferiore di cacciatorpediniere e, naturalmente non avevano portaerei. La scorta e il convoglio inglesi furono attaccati dall'aviazione italiana e uno dei mercantili riportò danni; ciò nonostante il 2 settembre tutte le navi arrivarono a Malta. Il convoglio entrò nel porto dell'isola mentre la Mediterranean Fleet si incontrò con i rinforzi provenienti da Gibilterra nel punto fissato a sud di Malta.
Durante il rientro alla base di Alessandria la Mediterranean Fleet passò a nord di Creta e approfittò dell'occasione per bombardare e cannoneggiare obiettivi nelle isole del Dodecaneso allora sotto la sovranità italiana. Gli aerei da caccia italiani abbatterono quattro aerosiluranti Swordfish levatisi in volo dalle portaerei per compiere un'incursione su Rodi; durante il contrattacco di una flottiglia di motosiluranti italiane una di queste fu colata a picco dai cannoni delle navi inglesi; successivamente un convoglio di navi mercantili britanniche, che faceva servizio per la Grecia e la Turchia e che era stato raccolto nei vari porti dell'Egeo fu scortato fino ad Alessandria. L'elemento di maggior rilievo in tutta questa serie di operazioni della marina inglese fu la loro complessità dovuta allo scarso numero di cacciatorpediniere.
Il 13 settembre dopo una preparazione di artiglieria e di aviazione durata quattro giorni, incominciò finalmente l'avanzata italiana in Egitto. In quattro giorni Graziani occupò le posizioni avanzate inglesi di Sollum e di Sidi el Barrani con una penetrazione di 96 chilometri su una stretta fascia di fronte lungo la costa e siccome le opposte forze inglesi erano troppo inferiori per tentar di contrastare l'avanzata approfittando della limitatezza dello sfondamento, gli italiani poterono mantenere la conquista. Però nonostante l'accurata preparazione dell'attacco Graziani fu costretto a una battuta d'arresto nella rapida spinta in avanti per riorganizzare le comunicazioni. Questo successo benché limitato influì tuttavia sulla situazione generale nel Mediterraneo: adesso infatti gli aerei da caccia italiani potevano operare contro Marsa Matruh mentre le basi dei caccia inglesi erano troppo lontane perché Sidi el Barrani potesse entrare nel loro raggio di azione.
Il 25 settembre nel porto di Alessandria erano pronti altri reparti dell'esercito e dell'aviazione destinati a rinforzo del presidio di Malta ma furono obbligati a una sosta di alcuni giorni determinata dal fatto che il 23 settembre forze inglesi insieme con quelle della Francia Libera avevano tentato il colpo di mano su Dakar e per il momento incombeva addirittura il pericolo di una guerra tra la Francia di Vichy e la Gran Bretagna e naturalmente non sarebbe stato consigliabile lasciare incustodite le unità navali francesi che si trovavano ad Alessandria. Tuttavia il 29 settembre gli attaccanti avevano desistito dall'azione contro Dakar é l'ammiraglio Cunningham poté far uscire da Alessandria la propria squadra tranne due navi da battaglia destinate a tenere d'occhio i francesi con amichevole diffidenza. Il resto della squadra vale a dire le navi da battaglia Warspite e Valiant la portaerei Illustrious gli incrociatori al completo e undici cacciatorpediniere con a bordo 1.200 soldati e un certo numero di rinforzi destinati all'aviazione diresse verso Malta.
Fra Creta e Malta Cunningham fu informato che una squadra italiana composta da 4 o 5 navi da battaglia 11 incrociatori e 25 cacciatorpediniere si trovava circa 100 miglia a nord ovest e stava dirigendo in direzione opposta alla sua. Cunningham decise che sarebbe stato più prudente avanzare rapidamente verso Malta e sbarcarvi le truppe. Gli italiani non manifestavano intenzioni aggressive e l'ammiraglio inglese non pensò neppure un istante di indurre forze tanto superiori alle sue ad impegnare battaglia. Il giorno dopo entrambe le squadre raggiunsero i rispettivi porti di destinazione Taranto e Malta dove le truppe inglesi furono sbarcate. La squadra di Cunningham tornò immediatamente ad Alessandria.
Circa una settimana più tardi l'8 ottobre, Cunningham lasciò di nuovo la base egiziana per scortare fino a Malta quattro navi da trasporto che portavano i rifornimenti e questa volta aveva con sé tutte le navi da battaglia. La squadra italiana per la cattiva visibilità e le pessime condizioni atmosferiche, era rimasta in porto, ma sulla rotta del ritorno l'incrociatore leggero Ajax incontrò una flottiglia di torpediniere (gli italiani classificavano nelle categoria " torpediniere " i cacciatorpediniere sotto le 1.000 t) e le impegnò in combattimento a una distanza di 3.600 metri e anche meno. In netto contrasto col comportamento tenuto pochi giorni prima dalla loro squadra gli italiani attaccarono, due torpediniere furono affondate e un cacciatorpediniere che le appoggiava l'Artigliere fu danneggiato. Un altro cacciatorpediniere lo prese a rimorchio e insieme tentarono di raggiungere un porto dell'Italia meridionale ma la mattina successiva un idrovolante Sunderland della base di Malta li avvistò e ne comunicò la posizione all'incrociatore pesante York. Quando lo York fu in vista il soccorritore dovette rinunziare al tentativo di salvataggio e ritirarsi. L'Artigliere si arrese e lo York, dopo aver preso a bordo l'equipaggio lo affondò a cannonate. In quest'occasione l'audacia degli italiani diede risultati positivi perché il tenace attacco diretto contro l'Ajax aveva provocato a bordo danni e feriti.
Ai primi di novembre un altro battaglione di fanteria poté essere rilevato dall'Inghilterra e assegnato alla difesa dell'isola di Malta che si trovava in angustie altrettanto gravi. Poiché la traversata del Mediterraneo occidentale era considerata troppo rischiosa per i trasporti militari, il battaglione e aliquote d'artiglieria destinate anch'esse a Malta, complessivamente più di 2.000 uomini furono fatti imbarcare sulla corazzata Barham, sugli incrociatori Berwick e Glasgow e su 6 cacciatorpediniere. Tutte queste navi, tranne tre dei sei cacciatorpediniere, erano destinate a far parte della squadra di Cunningham quali elementi di rinforzo. Il 10 novembre le navi da guerra che recavano a bordo il contingente di truppa entrarono nel porto di Malta per sbarcarlo, quindi ripresero il mare scortando un convoglio di navi mercantili vuote che avevano portato rifornimenti all'isola. Nel frattempo la Mediterranean Fleet aveva scortato anch'essa un convoglio di rifornimenti diretto a Malta che era arrivato lo stesso giorno. La squadra e le navi di rinforzo s'incontrarono, come stabilito, a est dell'isola all'alba dell'11 novembre; il convoglio delle navi mercantili prosegui da questo punto per Alessandria con una scorta ridotta formata da soli cacciatorpediniere, mentre il grosso della squadra dirigeva a nord est per mettere in esecuzione un piano che stava particolarmente a cuore all'ammiraglio.
Ancor prima che scoppiasse la guerra un comandante dell'aviazione navale, un certo Lyster, aveva preso in esame la possibilità di un attacco aereo contro la squadra italiana alla fonda nel porto di Taranto. Lyster diventato contrammiraglio agli ordini di Cunningham e imbarcato su una portaerei, durante gli ultimi tre mesi aveva approfondito lo studio del progetto. Adesso tutto era pronto, ricognitori che si erano alzati in volo dalla base di Malta avevano preso fotografie aeree dalle quali le reti, gli sbarramenti galleggianti e i palloni frenati che difendevano il porto di Taranto poterono essere riportati dettagliatamente sulle carte. Per di più, dalle fotografie dell'ultima ricognizione, che furono fatte pervenire per via aerea a Cunningham e a Lyster il pomeriggio dell'11 novembre risultava che cinque delle sei navi da battaglia italiane, già armate e pronte per salpare, erano ancorate nel porto e a mezzogiorno la ricognizione inglese che perlustrava in permanenza la zona di Taranto riferì che la sesta vi stava entrando.
Cunningham aveva un debole per le date simboliche. Originariamente l'attacco era stato progettato per il 21 ottobre anniversario di Trafalgar, e quando si dovette differirlo a causa di un incendio scoppiato a bordo della Illustrious, aveva ordinato che l'operazione fosse eseguita nella ricorrenza dell'armistizio del 1918, giornata propizia sotto vari aspetti perché si sarebbero svolte simultaneamente anche altre operazioni e perché la fase lunare era favorevole. La squadra si dislocò al largo delle isole Ionie e dopo il crepuscolo la portaerei Illustrious, con la sua scorta di cacciatorpediniere, si staccò dalle altre per raggiungere la posizione favorevole al decollo degli aerei, fissata circa 170 miglia a sud est dell'obiettivo. Alle 21 la prima ondata, formata da dodici Swordfish guidata dal capitano di corvetta K. Williamson si diresse in formazione su Taranto. Sei Swordfish portavano siluri, gli altri sei bombe. Due di questi ultimi dovevano lanciare oltre alle bombe, anche razzi illuminanti muniti di paracadute.
La prima squadriglia arrivò sopra il bersaglio poco prima delle 23. I due apparecchi muniti di razzi illuminanti incominciarono a svolgere il loro importante compito, sorvolando ripetutamente il settore meridionale e orientale del Mare Grande e lasciando cadere a intervalli regolari i razzi illuminanti Quindi bombardarono i depositi di combustibile, che si trovavano nella stessa zona del porto, per distrarre l'attenzione dei riflettori. Gli altri quattro bombardieri eseguirono attacchi diversivi contro incrociatori e mercantili ancorati nel Mare Piccolo, mentre gli aerosiluranti compivano un largo giro verso ovest per avvicinarsi al porto da ovest e da nord La pattuglia di testa formata da tre aeroplani penetrò nell'obiettivo direttamente da ovest, in picchiata e si tuffò attraverso lo sbarramento, scendendo fino a quota 90 m prima di lanciare i siluri. Lo Swordfish del comandante Williamson, che era l'aereo di punta, precipitò nel porto, però dopo aver sganciato il proprio siluro che centrò la corazzata che si trovava più a sud la Conte di Cavour colpendola a prora sul fianco rivolto verso il porto. Un altro siluro lanciato dagli aerei colpi la Littorio una corazzata recentissima anche questa sul fianco verso il porto. La seconda pattuglia volò verso nord, mantenendo una rotta parallela, e aggirò l'estremità settentrionale dello sbarramento di palloni frenati. Uno dei suoi siluri colpi una seconda volta la Littorio sul lato destro, ma gli altri mancarono il bersaglio o non esplosero. Quindi gli Swordfish della prima ondata si accinsero al volo di rientro.
La seconda ondata guidata dal capitano di corvetta J. W. Hale arrivò sopra l'obiettivo a mezzanotte. Era formata da nove apparecchi, cinque armati di siluri e quattro di bombe. Due lanciarono razzi illuminanti, adottando la stessa tattica dei primi e conseguendo risultati pressoché uguali. Un siluro, il terzo, fu messo a segno sulla Littorio e uno sulla corazzata Caio Duilio. Anche questa seconda ondata perdette un apparecchio abbattuto dagli italiani. Il 12 novembre, alle 3 di notte, tutti gli aerosiluranti a eccezione di due si erano già posati sul ponte di volo della Illustrious e all'alba la squadra si era nuovamente riunita. Se si considera che soltanto cinque siluri avevano colpito gli obiettivi e se si tiene conto soprattutto che l'attacco era stato condotto da un gruppo che ne portava appena undici in tutto i danni subiti dalla squadra italiana furono davvero enormi. Delle tre navi da battaglia che erano state colpite una, la Conte di Cavour, che il capitano Williamson aveva centrato mentre precipitava fu affondata e più tardi rimessa a galla ma non partecipò più ad azioni operative e le altre due furono costrette all'inattività durante sei mesi d'importanza capitale. Perciò l'attacco su Taranto ebbe effetti di proporzioni assai superiori al potenziale delle forze impiegate.
Le corazzate inglesi Ramillies Malaya la cui presenza non era più necessaria nel Mediterraneo, poterono essere trasferite e destinate a compiti ugualmente essenziali nell'Atlantico, dove la marina tedesca dava segni di ripresa dopo le perdite subite a Narvik. La marina da guerra italiana fu obbligata a ritirarsi per qualche tempo da Taranto e a rifugiarsi nei porti della costa occidentale Napoli, La Spezia e Genova dove si sentiva più al sicuro ma era però più lontana dal principale teatro di operazioni. In Inghilterra questa prima, inconfutabile vittoria dopo il crollo della Francia diffuse in tutto il paese un senso di trionfo e un'ondata di ottimismo simili a quello che avevano accolto un anno prima la vittoria del Rio de la Plata. In Italia la notizia, soffocata dalla censura non suscitò echi altrettanto forti, però sull'animo degli alti comandi della marina ebbe effetti che si rifletterono poi negli eventi successivi. Dopo Taranto l'ammiraglio italiano che si trovava di fronte a una formazione navale avversaria in cui ci fosse una portaerei sentiva e non a torto di combattere in condizioni d'inferiorità, anche se si trovava in condizioni di vantaggio per quanto riguardava gli altri tipi di navi.
Gli inglesi si assicurarono tutti questi vantaggi con la perdita di due soli apparecchi e un uomo, perché dei quattro aviatori caduti in acqua tre erano stati tratti in salvo dagli italiani e fatti prigionieri. Tuttavia non tutte le operazioni aeree svolte in questo periodo nel Mediterraneo ebbero analoghi risultati per gli inglesi. Una settimana dopo essi tentarono di inviare rinforzi aerei a Malta costituiti da apparecchi partiti dalla portaerei Argus ma il tentativo si concluse sfavorevolmente, con un fallimento che costò caro: dei dodici Hurricane e dei due Skua che li guidavano solo quattro Hurricane e uno Skua arrivarono a destinazione. Un'altra operazione navale combinata era stata progettata per la fine di novembre. La corazzata Ramillies e due incrociatori il Newcastle e quello arrivato recentemente il Berwick appartenenti alla squadra del Mediterraneo dovevano raggiungere le forze navali operanti nell'Atlantico settentrionale, presso le quali erano stati distaccati dato che la loro presenza nel Mediterraneo diventava superflua grazie al temporaneo indebolimento della squadra italiana dopo l'attacco su Taranto. Naturalmente gli inglesi approfittarono dell'occasione anche per far pervenire rinforzi all'Egitto rifornimenti e rinforzi a Malta sia da est sia da ovest e per far uscire dall'isola i mercantili che vi avevano trasportato materiali.
La Forza H lasciò Gibilterra il 25 novembre e tutto si svolse senza incidenti fino al momento in cui il naviglio maggiore proveniente da est, dopo che aveva scortato il convoglio fino a Malta e superato il Canale di Sicilia, s'incontrò con la Forza H a sud della Sardegna e quasi simultaneamente si trovò in contatto con una squadra italiana. Le navi italiane presenti erano 2 corazzate la Vittorio Veneto e la Giulio Cesare, 6 incrociatori armati con cannoni da 203 mm e 14 cacciatorpediniere; quelle inglesi una corazzata (la Ramillies) un incrociatore da battaglia (il Renown) 2 incrociatori con cannoni rispettivamente da 203 e da 152 mm (uno dei quali era distaccato a protezione del convoglio) 10 cacciatorpediniere e la portaerei Ark Royal.
L'ammiraglio italiano Campioni quando ordinò d'avanzare a tutta forza per l'attacco, credeva di dover affrontare soltanto una nave da battaglia due incrociatori leggeri e quattro cacciatorpediniere della Forza H e intendeva sfruttare la superiorità dei propri mezzi. Nel momento in cui le due squadre giunsero in vista l'una dell'altra e gli incrociatori delle due parti aprirono il fuoco, quando il Renown e la Ramillies si unirono al fuoco sparando da lunga distanza l'ammiraglio italiano si accorse della presenza non solo dei rinforzi provenienti dal settore est ma anche dell'inattesa presenza dell'Ark Royal. Con il ricordo ancora troppo vivo e recente di Taranto e sapendo di essere al comando di due delle tre uniche corazzate italiane ancora in efficienza che si trovavano ora esposte all'attacco dei velivoli della portaerei Campioni ordinò ai propri incrociatori di interrompere l'azione e di ritirarsi a tutta forza dopo aver danneggiato uno degli incrociatori inglesi.
Due attacchi aerei contro la squadra italiana non diedero alcun risultato non colpendo nessun bersaglio. Gli incrociatori inglesi inseguirono gli italiani fino al punto in cui erano protetti dalla gittata della Ramillies e del Renown quindi si ritirarono con la speranza di attirare gli italiani nel raggio d'azione delle artiglierie delle, due maggiori navi britanniche ma vedendo che il nemico non li inseguiva, volsero nuovamente la prua verso la squadra italiana. La finta però, non era servita e in pochi minuti le navi dell'ammiraglio Campioni scomparvero alla vista. La battaglia si concluse cosi se si esclude il secondo attacco dei velivoli inglesi ricordato prima e tre incursioni aeree di formazioni italiane decollate da basi terrestri. L'ammiraglio Somerville, che comandava la squadra inglese accortosi che vi erano ben poche speranze di impegnare l'avversario in una battaglia entro il raggio d'azione dei cannoni prima che raggiungesse le sue basi della Sardegna, ordinò alle proprie forze di procedere verso est. Al crepuscolo le sue navi ausiliarie due incrociatori adibiti al trasporto delle truppe e i cacciatorpediniere di scorta furono distaccati per unirsi alla Mediterranean Fleet ed entrare successivamente nel porto di Malta.
Il 21 dicembre la corazzata Malaya fu trasferita dalla Mediterranean Fleet alla Forza H perché uno dei risultati dell'incursione su Taranto era stato il trasferimento delle navi da battaglia italiane nei porti della costa occidentale della penisola. Nello stesso tempo alcune navi mercantili scariche partirono da Malta sotto scorta, dirette a ovest. Durante quest'operazione il cacciatorpediniere inglese Hyperion urtò contro una mina e colò a picco.
La grande impresa realizzata dagli inglesi verso la fine del 1940 fu l'offensiva, sferrata il 9 dicembre nel deserto libico. In questa situazione la marina inglese svolse il compito di appoggio bombardando con il naviglio costiero le posizioni italiane lungo la costa e attaccando i rifornimenti, specialmente d'acqua e di carburante, che venivano trasportati via mare a Sollum, il porto da parte italiana più vicino alla linea di contatto Nel complesso gli inglesi avevano buoni motivi per essere soddisfatti di come si presentava la situazione nel Mediterraneo agli inizi del 1941. Nei sei mesi trascorsi dai giorni del crollo della Francia la situazione era migliorata notevolmente, sia in terra che sul mare e nell'aria. Nel corso delle operazioni nel deserto gli italiani avevano perduto un quinto delle loro forze aeree e non avevano la stessa capacità industriale dell'Inghilterra per rimpiazzare i vuoti. Un convoglio di quattro navi mercantili una diretta a Malta e le altre tre in Grecia parti da Gibilterra il 6 gennaio. Come al solito, la Forza H le scortò fin oltre la Sardegna. Quindi attraversarono il Canale di Sicilia approfittando del favore della notte con la scorta straordinaria dell'incrociatore Bonaventure munito di radar uscito per unirsi alla Mediterranean Fleet con la quale s'incontrarono a ovest di Malta. Fino a questo momento tutto era andato bene e una grossa torpediniera italiana, la Vega era stata affondata, nonostante la grande bravura con cui aveva combattuto contro le navi inglesi insieme all'altra torpediniera italiana Circe, tanto che l'incrociatore Bonaventure ebbe un morto e quattro feriti a bordo.
Ma questa situazione fortunata non durò a lungo. A sud est di Pantelleria il cacciatorpediniere Gallant urtò contro una mina e dovette essere preso a rimorchio rimanendo distanziato di alcune miglia dalla squadra. Data la grande vicinanza delle basi navali e aeree del nemico era fuori questione che tutte le altre navi potessero avanzare alla limitata velocità di una nave rimorchiata, tuttavia era necessario affrontare qualche rischio per tentar di salvare il Gallant. Poiché alcuni mercantili senza carico erano in attesa della scorta per uscire da Malta l'ammiraglio Cunningham. ordinò che le navi designate per questo servizio tre incrociatori fra cui il Bonaventure accompagnassero fin lì il Gallant. Le due squadre si erano già distanziate di alcune miglia quando la Luftwaffe da molto tempo in attesa d'intervenire nel Mediterraneo, scelse questo momento per lanciare il suo primo attacco. I tedeschi furono fortunati. Una consistente formazione di bombardieri in picchiata attaccò dalla parte del sole, in controluce, piombando sul grosso della squadra di Cunningham privata della preziosa protezione costituita dal radar del Bonaventure.
I caccia dell'Illustrious erano stati costretti ad abbassarsi fin quasi al livello del mare dalla prima ondata degli aerosiluranti italiani cosicché gli Stuka, quando vi arrivarono sopra, poterono concentrare il peso maggiore dell'attacco sulla portaerei, che insieme con l'Ark Royal era la nave inglese più importante che si trovasse nel Mediterraneo. Gli aviatori tedeschi coraggiosi e abilissimi, la colpirono con sei bombe da mezza tonnellata. Anche la Warspite fu colpita da una bomba, ma riportò danni di scarso rilievo, e l'altra corazzata, la Valiant ebbe tre uomini feriti dalle schegge di una bomba che esplose vicino mancando di poco il bersaglio. Circa nove ore più tardi la Illustrious riuscì a raggiungere faticosamente con i propri mezzi il porto di Malta, dove la mattina seguente arrivarono anche il Gallant e la sua scorta. Il giorno successivo i bombardieri in picchiata attaccarono due incrociatori il Gloucester e il Southampton che scortavano dal Mediterraneo occidentale tre mercantili destinati alla Grecia. Il Gloucester fu colpito senza riportare gravi danni, mentre a bordo del Southampton scoppiò un incendio. Siccome le fiamme non consentivano di allagare la santabarbara, la nave venne abbandonata e affondò. Tutti i mercantili arrivarono indenni a destinazione, ma le perdite subite dalla marina britannica erano state molto gravi.
La Illustrious, nonostante l'insistenza dei forti attacchi tedeschi che miravano a distruggerla fu riparata alla meglio nel porto di Malta e bene o male riuscì a rientrare in Alessandria, ma naturalmente dovette essere mandata in un arsenale perfettamente attrezzato prima di poter partecipare ad altre azioni di guerra. Oltre alla Luftwaffe anche forze di terra tedesche stavano per raggiungere il settore centrale del Mediterraneo. Pochi giorni dopo l'ultima offensiva di Wavell in Cirenaica le prime delle unità germaniche che avrebbero costituito l'Afrikakorps sbarcarono a Tripoli, dove il tenente generale Rommel, designato a comandarlo era arrivato il 12 febbraio. I convogli che trasportavano le sue truppe e i rifornimenti subirono alcune perdite per opera dei sommergibili britannici della classe " U " l'Usk e l'Upholder e altri appartenenti alla stessa categoria, i quali incominciavano a sostituire quelli di dislocamento maggiore che avevano operato fino a questo momento dalla base di Malta. Gli " U " più piccoli, erano molto più adatti per le operazioni nelle acque limpide e nello spazio limitato del Mediterraneo.
Lo stesso mese ebbe luogo un'importante azione della Forza H. Il 6 febbraio l'incrociatore da battaglia Renown, la corazzata Malaya, l'incrociatore Sheffield e una formazione di cacciatorpediniere di appoggio partirono da Gibilterra per bombardare Genova a distanza ravvicinata; li accompagnava l'Ark Royal per lanciare i propri bombardieri all'attacco della base navale della Spezia e per incursioni aventi come obiettivo gli stabilimenti industriali di Livorno. L'azione aeronavale si svolse l'8 febbraio alle prime luci dell'alba. La corazzata italiana Caio Duilio, che si trovava a Genova in bacino di carenaggio non era stata notata dagli aerei della ricognizione e non subì ulteriori danni ma circa 300 granate dirompenti da 381 mm si abbatterono sul porto e sui cantieri navali provocando danni gravissimi. L'attacco durò mezz'ora poi la formazione si ritirò unendosi all'Ark Royal e ritornò a Gibilterra. Le navi italiane che avevano preso il mare per intercettarla durante la ritirata non riuscirono a rintracciarla per colpa dell'inadeguata ricognizione aerea.
Forse la cosa più sorprendente fu che la Forza H non venisse fatta segno a un attacco da parte dell'aviazione. Indubbiamente mancava il collegamento fra il comando delle forze aeree e quello delle forze navali. L'incursione su Genova e il pieno conseguimento degli obiettivi non poterono essere tenuti nascosti al popolo italiano come lo erano stati i danni inflitti dall'attacco su Taranto e la cosa che li irritò particolarmente fu la mancata reazione della marina tanto più che non venne mai a sapere che questa volta le navi erano uscite dai porti. In Inghilterra, com'è ovvio, la notizia fu accolta con comprensibile soddisfazione e nessuno ne fu più contento di Winston Churchill. I bombardieri in picchiata tedeschi continuarono a essere gli avversari più pericolosi che la marina inglese avesse nel mediterraneo. Il 23 e il 24 febbraio il monitore Terror e il cacciatorpediniere Dainty della divisione costiera, che si era distinta per l'efficace appoggio all'offensiva terrestre in Cirenaica, furono bombardati e colati a picco al largo di Tobruch, una perdita parzialmente controbilanciata dall'affondamento dell'incrociatore italiano Armando Diaz silurato il 25 dal sommergibile inglese Upright. Il 6 marzo aerei germanici, decollati probabilmente dal Dodecaneso, gettarono mine magnetiche e acustiche nel canale di Suez, che per tre settimane restò completamente chiuso alla navigazione. La cosa fu grave soprattutto perché la portaerei Formidable che aveva doppiato Capo di Buona Speranza per andare a sostituire la Illustrious fu bloccata per buona parte di questo tempo di questo tempo all'estremità sud del canale e non si poté unire come previsto alla squadra.
Finché la Formidable non arrivò ad Alessandria nessun convoglio potè partire per Malta dove la situazione, in attesa che fosse possibile compiere la traversata, si era fatta molto seria. Tuttavia il 23 marzo , navi ausiliarie riuscirono finalmente ad entrare nel porto e per il momento il problema della carestia fu scongiurato. L'8 febbraio, con la conquista di El Agheila, l'avanzata inglese lungo la costa nord africana aveva toccato il punto più avanzato. A partire da questo momento i comandanti inglesi del Mediterraneo diedero l'assoluta priorità all'invio degli aiuti in Grecia dato che i greci si erano finalmente convinti che i tedeschi sarebbero intervenuti contro di loro per appoggiare l'Italia e ritornando sulla decisione precedente di rifiutare l'aiuto di forze terrestri inglesi chiedevano ora tutta l'assistenza che la Gran Bretagna fosse in grado di dare. Finita l'offensiva in Cirenaica il generale Wavell concentrò tutte le truppe disponibili in Egitto dove sarebbero state pronte per l'imbarco con destinazione Grecia.
Benché diventasse presto chiaro che l'impegno assunto con l'esercito greco d'intervenire nella campagna contro gli italiani avrebbe impedito loro di impegnarsi contro la Germania con il vigore con cui avevano sperato i comandanti inglesi locali e sir John Dill continuarono a credere che vi fossero possibilità di una efficace resistenza e i convogli pronti per il trasferimento in Grecia del corpo di spedizione britannico cominciarono a lasciare l'Egitto il 5 marzo. Quando i tedeschi lo seppero non furono per nulla soddisfatti che i convogli militari inglesi potessero attraversare a loro piacimento " il lago italiano ". Secondo le affermazioni della Luftwaffe due delle navi da battaglia inglesi disponibili furono gravemente danneggiate il 16 marzo; essi affermarono di averle bombardate nel porto. La notizia era priva di fondamento ma il 19 marzo un dispaccio redatto in termini assai decisi in cui si chiedeva che gli italiani tentassero data la grande superiorità delle loro forze di far cessare l'invio dei rinforzi britannici alla Grecia fu consegnato dall'ufficiale di collegamento della marina tedesca presso lo stato maggiore della marina italiana.
Il 26 marzo gli italiani sferrarono una serie di attacchi coronati da successo contro le navi da guerra inglesi ancorate in porto con i mezzi navali d'assalto. Un motoscafo carico di esplosivi scelse come obiettivo l'incrociatore York che in questo periodo era l'unico incrociatore armato con cannoni da 203 mm nel settore del Mediterraneo orientale mentre era alla fonda nella baia di Suda sulla costa settentrionale di Creta. L'esplosione provocò uno squarcio nello scafo, la sala macchine fu allagata e lo York non poté né manovrare né mettere in azione le torri con l'armamento principale. Fu fatto arenare e più tardi fu distrutto sulla spiaggia da un bombardamento durante la battaglia di Creta.
Ma in seguito alle pressioni tedesche le operazioni navali italiane non si limitarono a questi attacchi effettuati con piccolo naviglio. Poiché non prestavano fede alle ripetute assicurazioni dell'alleato sull'equilibrio delle forze e non intendevano impegnarsi a meno che non fosse stato indispensabile con la squadra inglese, inizialmente si limitarono a intensificare le ricognizioni aeree. L'ammiraglio Cunningham rientrato ad Alessandria lo notò e incominciò a sospettare che si stesse preparando qualcosa. Il 27 marzo un Sunderland della base ricognitori di Malta gli fece pervenire un rapporto fotografico da cui risultava che tre incrociatori e un cacciatorpediniere italiani stavano dirigendo verso Creta ed egli aveva buone ragioni di credere che anche corazzate italiane fossero in navigazione. Segnalò i movimenti del nemico ai reparti distaccati del proprio comando ordinò al grosso della squadra di tenere le macchine sotto pressione e dopo che fu calata l'oscurità usci da Alessandria con la sua squadra dirigendo verso Capo Matapan.